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 2015  luglio 07 Martedì calendario

Al Sisi e il vocabolario di parole “consigliate”. Di fronte all’ondata di attacchi jihadisti il governo egiziano vuole adottare una nuova legge anti-terrorismo che concede l’impunità alla polizia, taglia un grado di giudizio, censura la stampa e mina le libertà di espressione. Vietato scrivere o dire: islamisti, gruppi islamici, jihadisti, Isis, Stato islamico e fondamentalisti. Approvate invece le parole: terroristi, estremisti, criminali, selvaggi, assassini, radicali, fanatici. Pena il carcere. Anche per i giornalisti stranieri

Di fronte a un’ondata di attacchi jihadisti senza precedenti il governo egiziano vuole adottare una nuova legge anti-terrorismo che concede l’impunità alla polizia, taglia un grado di giudizio, censura la stampa e mina le libertà di espressione. Esperti e difensori dei diritti umani denunciano il testo repressivo che sta per essere promulgato questa settimana dal capo dello Stato Abdel Fattah Al Sisi. Ma ancora non basta. Il ministero degli Esteri ha fornito un decalogo ai media stranieri sui termini da usare nel descrivere i gruppi terroristi. Vietate le parole: islamisti, gruppi islamici, jihadisti, Isis, Stato islamico e fondamentalisti. Approvate invece le parole: terroristi, estremisti, criminali, selvaggi, assassini, radicali, fanatici. Nella nota il ministero deplora l’uso di termini che «offuscano l’immagine dell’Islam e attribuiscono falsamente alla fede islamica gli orrendi atti commessi dai gruppi estremisti». Dopo l’assassinio il 29 giugno del procuratore generale Hisham Barakat con un attentato spettacolare vicino al palazzo presidenziale di Heliopolis e l’attacco multiplo dei gruppi armati nel Sinai, Al Sisi aveva promesso una legislazione più severa contro il terrorismo». «Ma la stretta che impone la nuova legge», ha detto ieri un rappresentante di un’Ong, «ha il sapore della vendetta».
La proposta di legge prevede una pena minima di due anni di carcere per la pubblicazione di «false informazioni sugli attacchi terroristici che contraddicono le dichiarazioni ufficiali». Il ministro della Giustizia Ahmed al-Zind ha spiegato che l’articolo è stato particolarmente motivato dalla copertura mediatica degli attacchi dei jihadisti del Sinai la scorsa settimana. Il portavoce ufficiale dell’esercito aveva riferito di 21 soldati uccisi e più di un centinaio di jihadisti uccisi nei combattimenti, ma i media egiziani e internazionali hanno pubblicato bilanci molto più pesanti, citando funzionari della sicurezza. «Il governo ha il dovere di proteggere i cittadini dalle false informazioni», ha detto alla tv egiziana il ministro Zind. La pensano diversamente i giornalisti egiziani. «In questo modo», dice Gamal Eid del sindacato, «si pubblicheranno dichiarazioni ufficiali, limitando il diritto ad acquisire informazioni da fonti diverse da quelle istituzionali». Il sito del quotidiano egiziano
Al Ahram scrive che secondo alcuni analisti diversi articoli della legge sono «incostituzionali», violerebbero la Carta che tutela la libertà d’espressione e stabilisce che non si va in carcere per le opinioni espresse in forma orale o scritta, fatta eccezione per i «reati legati all’incitamento alla violenza o alla discriminazione tra i cittadini».
La legge rimuove anche per i reati di “terrorismo” una delle due procedure di ricorso successive alla Corte di Cassazione previste dalla legge egiziana. Prevista la pena di morte per le persone colpevoli di aver creato, diretto o finanziato un’organizzazione «terroristica», e cinque anni di carcere per chi utilizza internet o social network per promuovere il «terrorismo».