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 2015  luglio 07 Martedì calendario

Atene e le scorrerie delle banche d’affari. Così la Grecia è sempre stata una frontiera sotto controllo per arginare la Russia. Dal periodo di splendore quando ha insegnato al mondo la polis al grande sonno

L’ora della verità è l’ora della Grecia. Oggi tutti noi europei siamo chiamati all’assunzione di responsabilità politiche. Nessuno dovrebbe sottrarsi.
Ma non si andrà lontano se non faremo nostra una grande verità, e cioè che la Grecia è un potente segno di contraddizione in un mondo che si  illude di poter far politica senza cultura.
Diciamolo con parole chiare: per quanto abbiamo visto, l’Unione europea che si accinge ad affrontare la fase finale della crisi ellenica non ha la capacità di risolverla perchè è la quintessenza della separazione tra politica e cultura. E se si supera tale separazione le scoperte sono laceranti.
LA LEZIONE DI KAVAFIChi studia la Grecia, la sua storia, la sua economia, la sua antropologia, i suoi momenti dirompenti e le lunghe sonnolenze, comprende chiaramente la l’architettura socio politico-economico nella quale è plasmata quella società.
La Grecia, come bene ha scritto Kostantinos Kavafis nella sua opera poetica che offre un ritratto vivido del destino greco, ha avuto periodi di splendore quando ha insegnato al mondo la polis e ha rappresentato plasticamente nelle guerre contro la Persia e nelle guerre tra Atene e Sparta il senso profondo della politica come lotta per il potere sorretta da una mitologia cosmologica che ancora oggi scrive i destini dell’umanità grazie all’immensa profondità del suo pensiero filosofico. Terminata l’ora delle vittorie e delle sconfitte gloriose, di cui rimane monumento imperituro nelle pagine del Tucidide delle guerre del Peleponneso, la Grecia inizia un lungo sonno da cui si risveglierà solo molti secoli dopo. E il dato distintivo del suo risveglio sarà sempre il legame con l’Europa, nel bene o nel male.
Tale legame ha le sue radici nel precoce e raro modello di democratizzazione del suffragio elettorale che consolidò nella prima metà dell’Ottocento la base di massa della rivoluzione ellenica anti-ottomana, cantata e vissuta tragicamente da Lord Byron. Ma al contempo aveva altresì aperto la via a un sistema di partiti tanto diffuso clientelarmente quanto debole istituzionalmente, perché sottoposto a uno stravolgimento fortemente pervasivo della politica in guisa statalistica.

PICCOLA PROPRIETA
L’istituzionalizzazione della politica non aveva modo di formarsi perché l’economia era – ed è tuttora – anch’essa debole pur essendo diffusa. Dominava e domina la piccola proprietà contadina e insieme l’elefantiaca presenza post ottomana dello Stato nell’industria e nei servizi. Nel contempo, le grandi fortune private degli armatori si separarono quasi immediatamente dalla storia dell’economia e della politica greca, facendo della City londinese e di Wall Street le centrali strategiche del capitalismo rentier tipicamente ellenico. Non è un caso se oggi la rivista scientifica più importante, per chi voglia capire davvero la Grecia, si chiamiHellenik Diaspora e sia edita a New York. E non è un caso che l’inesistente borghesia non seppe darsi neppure un re nazionale: il primo monarca greco fu infatti Ottone di Grecia, nato Ottone di Wittelsbach a Salisburgo nel 1815 e principe di Baviera.
Ottone divenne primo re di Grecia nel 1832, in conseguenza della Convenzione di Londra, che dichiarava la Grecia una «monarchia indipendente sotto la protezione delle grandi potenze» (Regno Unito, Francia e Russia). Giunse ad Atene con 3.500 soldati bavaresi a bordo di una fregata britannica. L’ordito dell’accordo era il frutto del patto stipulato tra il Regno Unito e i Rothschild. Iniziò da allora un costante legame con la potenza inglese che considerava la Grecia un punto archetipale di quell’equilibrio sempre precario che governava l’accesso della Russia, tramite i Dardanelli, al Mare Mediterraneo. Si ricorda in forma esemplificativa questo nesso tra la storia di lunga durata e gli avvenimenti odierni perché consente di leggere questi ultimi in guisa significativa.
Per tutte queste ragioni, l’entrata della Grecia in Europa negli anni recenti del Novecento non aveva e non ha nulla di consustanziale alla storia greco-ellenica: essa era ed è estranea a una razionalità nazionale capitalistica (come accade invece negli Stati dell’Europa continentale), tanto relativamente al mercato regolato quanto all’impresa pubblica comunemente intesa. 
Quell’ingresso obbediva e obbedisce a una ragione extraeconomica: era ed è di natura geostrategica; era ed è la continuazione forzosa dell’inserzione nella tecnocrazia europea di una Grecia che non poteva che smarrirsi nel mondo occidentale, ossia non ortodosso e non post ottomano.
Un primo inserimento forzato era già avvenuto per soffocare nel sangue la guerra civile comunista titina (1944-1949) inglobando la Grecia nella Nato. L’inserimento nell’euro e nell’Unione europea era la continuazione di un’operazione artificiale di assimilazione della Grecia nell’Europa continentale e del Sud a cui essa apparteneva solo mitologicamente. E Dio sa di quante mitologie abbiamo bisogno, oggi più che mai.
Ma l’economia e la società ellenica erano e sono profondamente diverse dalle economie e dalle società degli Stati continentali e del Sud europeo. E l’ingresso nell’Unione e nell’euro non ha eliminata questa faglia di diversità. Anzi, l’ha vieppiù ampliata e l’ha resa tanto più profonda. Ed è questo il vero problema, diciamolo una volta per tutte.
É inutile e ipocrita piangere ora sul latte versato. L’arrivo della recessione provocata dall’esasperato rigore teutonico prima e dalla sucessiva stagnazione secolare poi, allargherà la faglia sempre più e questo sarà il destino anche degli Stati post ottomani e di quelli baltici inseriti nell’Unione anch’essi solo per motivi geostrategici ossia anti-russi.
 Per questo occorre mantenere sangue freddo e non precipitare le decisioni. Guai se si innesca il ciclo del default da debito con collaterali fondati su derivati (di cui sono gonfi i forzieri delle banche) che col tempo sono diventati armi di distruzione di massa: il pericolo di contagio esiste eccome, ed è elevato. Guai se si pensasse di risolvere la questione greca solo contando sul confronto Atene e Bruxelles a trazione tedesca. Tutto potrebbe precipitare. E le condizioni del dramma già si profilano perchè, va ribadito, non sono solo economiche. La tragedia è anche anticipata dalle trattative segrete che oggi stanno interessando greci e turchi ciprioti da un lato e russi e cinesi dall’altro per costruire una base di appoggio russa sull’isola. La Grecia, se questo rivolgimento geostrategico avvenisse, vedrebbe compiersi il suo destino seguendo il solco di una tradizione fortissima della politica estera zarista: diverrebbe l’avamposto della penetrazione russa nel Mediterraneo, saldando le radici euroasiatiche della Russia con quelle attive da sempre nell’immaginario collettivo moscovita: la necessaria presenza nel Mediterraneo.

LA CONFERENZA
Per questo va ribadito quanto già chi scrive ha affermato sul Messaggero: si strappi la trattativa a Bruxelles, dove non esistono leader capaci di confrontarsi su questi temi, e si creino le condizioni per una Conferenza internazionale sulla Grecia e insieme sul debito europeo, una conferenza europea con partecipazione russa e cinese con una forte presenza degli Stati Uniti. (Questi ultimi devono ancora una volta assumersi, infatti, le loro responsabilità mondiali e non invece ripiegare su se stessi). Del resto, passi in avanti gli americani li hanno compiuti in questo senso, soprattutto facendo pressioni affinchè Parigi avviasse un’opera di mediazione. Ma ancora non basta. Quanto all’Italia, non può restare dietro le quinte in attesa di occupare uno spazio lasciato vuoto per caso: il premier Matteo Renzi ha tutti i titoli necessari per sedere accanto ad Angela Merkel e a Francois Hollande, visto l’impegno finanziario che siamo stati chiamati a sostenere per salvare una prima volta la Grecia. Perchè dev’essere chiaro che la posta è assai più alta della permanenza della Grecia nell’euro, visto che la patria di Platone è da sempre la terra di mezzo tra Europa e Asia. E non si capisce per quale ragione si debba lasciare l’esclusiva di una trattativa tanto delicata agli gnomi dei sublimi deliri di Wagner o alle controfigure delle antiche saghe nordico-finniche.