Corriere della Sera, 7 luglio 2015
Il piano di Tsipras e le modifiche che valgono circa un miliardo di sacrifici in meno. Ora il premier ha guadagnato forza politica interna ma il prezzo è altissimo per i suoi stessi cittadini: l’economia è alla paralisi, con la parziale eccezione del turismo, le banche restano chiuse e nei bancomat ci sono sempre meno banconote
Sono passate appena ventiquattro ore, ma Yanis Varoufakis sembra già l’uomo di una stagione passata. Comunque si sviluppi nelle prossime settimane il rapporto fra la Grecia e i governi creditori del resto d’Europa, le dimissioni dell’ormai ex ministro delle Finanze sono arrivate ieri a inizio giornata come la mossa di apertura di una nuova partita a scacchi: quella che il premier Alexis Tsipras sta cercando di avviare con i suoi colleghi europei, dopo che la scommessa del referendum ha portato nuove sofferenze per milioni di greci, montagne di diffidenza fra i governi, ma anche una forza politica supplementare ad Atene per il giovane premier.
Varoufakis è uscito di scena non senza eleganza, sottolineando come gli sia stato spiegato che la sua presenza a Bruxelles non è più gradita. Al suo posto ha già preso funzione Euklid Tsakalotos, un greco cresciuto in Gran Bretagna, formatosi a Oxford, perfettamente bilingue e rigorosamente marxista-leninista. Tsakalotos è considerato fra gli intransigenti nel gruppo attorno al premier, ma costruttivo e affidabile.
Avrà bisogno di entrambe queste virtù, perché quella che sta iniziando somiglia molto a una nuova guerra psicologica fra Tsipras e i leader dei Paesi creditori in cui il premier greco pensa di disporre di qualche mezzo in più: ha un mandato popolare molto ampio, benché imperniato solo sul rifiuto, e ora ha anche l’intera classe politica greca dietro di sé. Il 61% del No al referendum ha portato delle novità ad Atene: si è dimesso dalla guida di «Néa Demokratia» Antonis Samaras, l’ex premier conservatore, e tutti i partiti (meno i neonazisti e i comunisti alla sinistra persino di Syriza) hanno chiesto a Tsipras di rappresentarli in Europa e negoziare un accordo «basato sul criterio della giusta distribuzione degli oneri e i minori effetti recessivi possibili». È successo ieri nel palazzo del presidente della Repubblica, Provokios Pavlopoulos, che ha riunito i leader dei partito di governo e opposizione per sette ore: c’erano anche la leader del Pasok Fofi Genimata, quello (transitorio) di Néa Demokratia Evangelos Meimarakis e Stavros Theodorakis di Potami («il Fiume»).
Da tutti loro, Tsipras ha il mandato a proporre oggi a Bruxelles qualcosa di simile al piano di riforme per la Grecia pubblicato giorni fa dal presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, con modifiche che valgono circa un miliardo di sacrifici in meno. Dietro di sé il premier non avrà più solo il suo partito di sinistra radicale e gli alleati di governo della destra, ma tutti i partiti democratici e il 61% dei greci che ha votato No al referendum. Quel programma dunque dovrebbe poi essere messo in pratica con i voti di tutti in parlamento.
Così il referendum ha creato ad Atene un clima tale che i greci, per ora, potrebbero persino non prestare attenzione al fatto che la prima promessa della campagna di Tsipras si è già rivelata vuota: oggi le banche non riapriranno. Ora le indicazioni più accreditate rinviano tutto almeno a metà delle prossima settimana.
Poi c’è l’altra promessa del premier, secondo il quale un fragoroso No avrebbe rafforzato la Grecia al tavolo europeo e avvicinato un accordo meno duro. L’idea di Tsipras di riproporre oggi a Bruxelles il piano Juncker (in versione «leggera») a nome dell’intero sistema politico e della nazione punta a mettere Angela Merkel sotto scacco.
Se la cancelliera tedesca accettasse di negoziare su questa base, la vittoria per Tsipras sarebbe evidente; se invece Merkel rifiutasse, la chiusura della Germania non sarebbe riservata più solo al leader populista, ma all’intero arco costituzionale greco e a milioni di elettori. Anche dagli Stati Uniti arrivano pressioni su Berlino in queste ore, a quanto pare.
Non è detto però che Merkel abbia fretta. Potrebbe lasciare che la Grecia si avvicini al 20 luglio, quando dovrà rimborsare alla Bce titoli per 3,5 miliardi. Per ora le banche elleniche non avranno nuova liquidità da Francoforte ma sembrano poter distribuire biglietti da 50 euro con il contagocce fino al fine settimana e forse un po’ oltre.
L’economia è alla paralisi, con la parziale eccezione del turismo. Tsipras ha guadagnato forza politica interna ad un prezzo altissimo per i suoi stessi cittadini. E Merkel probabilmente non intenderà mostrarsi malleabile con l’avversario greco, in primo luogo per non perdere credibilità in Germania. Del resto l’Europa non sarebbe mai arrivata a questo punto, se avesse avuto leader capaci di subordinare le proprie tattiche personali alle esigenze di chi li ha eletti.