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 2015  luglio 06 Lunedì calendario

L’ultimo concerto del Re. Quel 26 giugno del 1977 quando un Elvis di 150 chili, imbottito di farmaci, salì sul palco di Indianapolis. Meno di due mesi dopo verrà trovato agonizzante dalla sua ultima fidanzata, Ginger Alden, nel bagno della sua tenuta kitsch di Graceland

Quarantadue anni all’anagrafe e molti di più a guardarlo, Elvis Presley eseguì il suo ultimo concerto 38 anni fa, il 26 giugno 1977 a Indianapolis, Market Square Arena. Ad ascoltarlo c’erano 18 mila persone. Meno di due mesi dopo, in circostanze mai del tutto chiarite, Elvis verrà trovato agonizzante (e per molti già morto) dalla sua ultima fidanzata, Ginger Alden, nel bagno della sua tenuta kitsch di Graceland. Nato a Tupelo l’8 gennaio 1935, Elvis in realtà è già morto molto prima. La prima volta, e forse la più dolorosa, quando torna dal servizio militare. Il suo manager, il colonnello Parker, trasforma la visita di leva e l’arrivo a Brema – 1 Ottobre 1958 – in un evento. Prima di partire per il servizio militare, Elvis non è solo un divo: è anche e soprattutto espressione del cambiamento.
Per gli ambienti conservatori americani incarna il peccato e la depravazione. I giovani lo amano perché ribelle e molti artisti, per esempio John Lennon, dichiareranno che “senza Elvis, non ci sarebbe stato nulla”.
Lo sfaldamento comincia proprio durante i due anni da militare passati da Elvis – all’apice della carriera – in Germania. A Friedberg, come carrista. Elvis non vorrà trattamenti di favore e si comporterà come un commilitone qualsiasi. In quel periodo si avvicina al karate, assumendo in dosi ingenti benzedrina per risultare più performante. A far male a Elvis non è tanto il militare, quanto il ritorno. In due anni è cambiato tutto, non solo perché nel frattempo è morta la madre Gladys. Nel 1960 spuntano all’orizzonte quelle rock band che, di fatto, rendono la musica di Elvis già “vecchia”. È il destino dei pionieri inconsapevoli: arrivare troppo prima. Oltretutto Elvis è cambiato. Molto più diffidente e meno spontaneo, decide di circondarsi da una milizia di yesmen che lo asseconda in ogni sua richiesta e follia. Con il mondo reale ha sempre rapporti, protetto – apparentemente – dalla cosiddetta “Memphis Mafia”. Alcuni dei suoi vecchi collaboratori, anni dopo, scriveranno un libro vendicandosi dei soprusi subiti da Elvis, parlando di aggressioni e colpi di pistola (Elvis era un appassionato di armi) e tratteggiando un divo pazzo che trattava i dipendenti come servi. Elvis leggerà quel libro e la sua depressione si aggraverà ulteriormente. Siamo però già nei Settanta.
Molto prima, quando torna dal servizio di leva in Germania Ovest, Elvis è mutato anche nella dimensione artistica: ieri iconoclasta e adesso rassicurante e sin troppo romantico.
Da innovatore a conservatore. Non per nulla vorrà poi incontrare Richard Nixon, in un incontro consegnato (male) alla storia come “Il Presidente che accoglie il Re”. L’Elvis che attraversa i Sessanta è ancora smisuratamente di successo, ma non morde più come prima. Registra dischi di continuo, si esibisce dal vivo di continuo, interpreta filmetti di continuo. Ma non fa più paura a nessuno. È parte del sistema e lo sa. Per sopportare i ritmi di vita ossessivi si imbottisce di eccitanti, poi però la notte non riesce a dormire. Così si imbottisce anche di tranquillanti. Le ricette mediche non sono un problema, il medico personale George Nichopolous gli prescrive tutto quello che vuole.
Passa larga parte del tempo a Graceland, la magione comprata nel 1957 a Memphis, stato del Tennessee. Spende denaro per oggetti tanto sfarzosi quanto inutili, come un pianoforte placcato in oro o i regali costosissimi alle fiamme di turno. Anche la sua vita sentimentale è compulsiva. Ha una relazione anche con Ursula Andress, conosciuta sul set di Fun in Acapulco. La separazione con la moglie Priscilla, da cui avrà la figlia Lisa Marie, lo distrugge. I fans la incolpano di essere stata la causa scatenante della sua rovina, ma Elvis era già ferito. Molto ferito. Appassionato di esoterismo e misticismo, raccontava agli amici – e talora nelle interviste – di avere un grande dolore: non sapere nulla di se stesso.
Si comportava da Re, da “King”, sin dalle movenze e dai saluti, poi però rivelava che anche quella funzione – che aveva inventato lui – lo stancava tantissimo. Rompe con il cinema, dicendo no a parti che forse lo avrebbero rilanciato, per esempio il ruolo da protagonista in Un uomo da marciapiede. Nei Settanta ha ancora un esercito sconfinato di fans, ma è cambiato tutto. Il corpo cede di schianto. Le luci accecanti sul palco, concerto dopo concerto, gli provocano un glaucoma. È iperteso, ha un’arteriosclerosi coronarica e il fegato compromesso. Ingrassa a dismisura.
L’autopsia rivelerà che il suo peso era arrivato a 158 chili. Nell’ultimo periodo ingurgitava fino a 100 mila calorie al giorno, abusando di sfilatini da trenta centimetri che chiamava “l’oro dello stolto”. Il suo preferito era ripieno di burro di arachidi, bacon e confettura di fragole.
A mezzanotte si concedeva uno “spuntino” a base di hamburger e patatine fritte. Le sue ultime ore di vita sono state raccontate da molti, non ultimo Ezio Guaitamacchi, e c’è ancora chi lo crede vivo sulla base dei tanti avvistamenti post-mortem di gente che gli somiglia molto. Il 15 agosto 1977, il giorno prima di morire, Elvis è molto teso. Persino più del solito. Ha litigato con la fidanzata Ginger, salvo poi riconciliarsi e prometterle il matrimonio. È stato dal dentista per curare una carie, e quando l’anestesia ha terminato l’effetto ha abusato di Dilaudid, un analgesico fortissimo. Non riesce a dormire. Teme molto l’imminente concerto di Portland, spesso si dimentica i testi e si annoia lui stesso di quello che canta (ma le esecuzioni straordinarie non mancheranno: fino alla fine).
Ginger è andata a letto. Lui mangia l’hamburger di mezzanotte, alle quattro chiama il cugino Billy Smith – membro pure lui della Memphis Mafia – per giocare a squash. Non si muove più e, per lui, il gioco consiste nel colpire l’avversario con la pallina. Suona al pianoforte Blue Eyes Crying In The Rain e due gospel, ormai la sua passione musicale più grande. Va in camera da letto alle cinque di notte. Fino alle 8.30 si imbottisce, più o meno ogni ora, di pillole per dormire: ogni anno spendeva un milione di dollari circa in medicinali. Alle 9.30 va in bagno. Vuole terminare un libro che gli piace molto, The Scientific Search For The Face Of Jesus di Frank Adams. Ginger, nel dormiveglia, le dice di non appisolarsi in bagno: accade spesso.
Sarà lei a trovarlo, molte ore dopo, attorno alle due del pomeriggio. È sulla tazza del water, pare svenuto. Lei e lo staff gli tirano su i pantaloni e chiamano l’ambulanza. Il padre Vernon lo vede in quelle condizioni e ripete “Elvis non lasciarmi”. Entra anche la figlia, non ha ancora dieci anni: la allontanano. L’ambulanza arriva al pronto soccorso alle 14.56. Mezz’ora dopo Elvis viene dichiarato morto. Nel suo corpo non vengono trovate droghe ma 14 sostanze chimiche diverse, di cui 10 ampiamente oltre il limite tollerabile. Forse è stato un infarto, forse uno shock anafilattico (era allergico alla codeina, di cui stava abusando per combattere il mal di denti). Più probabilmente la malattia di Hirschsprung, una costipazione cronica che porta all’impossibilità di evacuare. Non appena si sparge la notizia, Elvis torna a essere Re per molti. Quasi tutti. Forse troppi.