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 2015  luglio 06 Lunedì calendario

L’America, la paura di un caos economico a Wall Street e l’inutilità di una eccessiva richiesta di austerità da parte della Germania quando l’obiettivo principale in uno stato di crisi dovrebbe essere quello di far crescere l’economia con un policy mix fiscale e monetario. La situazione Greca vista dagli Usa

Ci sono due emergenze già in atto in America subito dopo che le forze populiste e nazionaliste in Grecia hanno respinto il pacchetto europeo. La prima emergenza è a brevissimo termine. Vuole impedire che il caos greco e l’imminente possibile fallimento dell’economia ellenica, se già questa mattina le banche dovessero saltare, si traduca in un caos economico, politico e finanziario anche a Washington e a New York. La seconda è di medio termine e ci riporta a un confronto ideologico fra Germania e Stati Uniti: l’inutilità, secondo la Casa Bianca di una eccessiva richiesta di austerità quando l’obiettivo principale in uno stato di crisi dovrebbe essere quello di far crescere l’economia con un policy mix fiscale e monetario. Questa posizione era quella di Obama durante la crisi europea, quando la Casa Bianca chiedeva di dimenticare i limiti che imponevano un tetto del 3% per il rapporto disavano/Pil e di puntare a politiche espansive. Su questo fronte, forse il più importante dal punto di vista della “policy”, lavorano, oltre al Presidente Barack Obama e al segretario al Tesoro Jack Lew, anche Christine Lagarde e lo staff del Fondo Monetario Internazionale, che dovrebbe garantire stabilità macroeconomica quando un paese membro entra in crisi.
Proprio dal Fondo negli ultimi giorni era partito un messaggio più accomodante: forse una ristrutturazione del debito è auspicabile e forse il mancato rimborso greco di una tranche da 1,5 miliardi di dollari (e potenzialmente quelle successive) può essere posticipata fino a 5 anni. Su questo tema il dibattito sarà aspro. Sul banco degli imputati tornerà a esserci dal punto di vista americano la Germania di Angela Merkel. Questo braccio di ferro macroeconomico/politico continuerà nei prossimi giorni. Ma se l’America poteva premere per politiche espansive in caso di un si al referendum di ieri, oggi sarà più difficile accettare che ciascuno stato si muova come meglio creda, incoraggerebbe una forma di “azzardo morale”.
Il pericolo per la Grecia, che ha ignorato i segnali di forte apertura in arrivo da Washington in caso di una vittoria del si, è quello dell’isolamento per scelta.
In questa atmosfera di grande confusione l’emergenza mercati è stata a partire da subito, dalla notte di ieri, che ha chiuso il lungo fine settimana del 4 di luglio, la priorità assoluta. Federal Reserve a Washington e i grandi investitori a New York si preparavano a interventi straordinari, non necessariamente nella stessa direzione. Lo scenario più pessimista infatti, prevede che a partire dalla notte, con l’apertura dei mercati asiatici partano attacchi “sub domino” come si dice a Wall Street, contro i paesi più deboli, l’Italia, il Portogallo persino la Francia. Questo si tradurrà in un brusco calo delle borse mondiali. Nella memoria di investitori che abbiamo incontrato nel fine settimana c’è fresca la catastrofica esperienza del fallimento Lehman. E se tutti dicono che un fallimento greco non è comparabile al fallimento Lehman in quanto nel caso greco non ci sono esposizioni dirette sui mercati ma solo su stati sovrani che sono in grado di reggere il colpo, la componente irrazionale della reazione dei mercati non può essere trascurata, soprattutto quando già venerdi si registrava una certa calma in previsione di una vittoria del si e di una ripresa del dialogo.