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 2015  luglio 03 Venerdì calendario

Geniale, «rosso», Dolcini: quando la grafica era di pubblica utilità. Negli anni 70-80 mise la fantasia al servizio di amministrazioni e partiti, per il bene comune. Poi delle aziende. Ma sempre con grande «chiarezza». Una mostra a Fano

Grafica sì, ma utile.
Qualcosa di più della semplice cartellonistica sociale e qualcosa di diverso dalla pubblicità istituzionale, la «grafica di pubblica utilità» è una forma di comunicazione politica e sociale – meno persuasiva dei scintillanti annunci commerciali, più artistica della piatta informazione degli enti pubblici – che ebbe il massimo picco creativo tra gli anni Settanta e Ottanta. E fra i grafici e designer che hanno prestato la propria professionalità e fantasia a amministrazioni e partiti politici, il meno politico e più fantasioso fu un «piccolo» maestro, del quale pochi si ricordano a memoria il nome, ma che tutti riconosco al primo sguardo: Massimo Dolcini (1945-2005). Lui fece della grafica una funzione sociale e della comunicazione pubblica un gioiello grafico. Aveva come committente una pubblica amministrazione, come fruitore il cittadino. Ecco perché lui stesso si dichiarava – sull’esempio dei vecchi medici di famiglia – un «grafico condotto». Adesso, a dieci anni dalla morte, Fano gli dedica la mostra Massimo Dolcini. La grafica per una cittadinanza consapevole che apre oggi alla Galleria Carifano di Palazzo Corbelli (fino al 10 settembre).
Progettista dal tratto deciso al servizio di un bene collettivo, intellettuale impegnato ma in punta di penna e artista dalle molteplici sfumature (grafico, certo, ma anche fotografo, disegnatore, ceramista, organizzatore culturale, didatta soprattutto), Massimo Dolcini era di Pesaro. E qui, in un periodo di fermenti sociali, rivoluzioni culturali e agitazioni studentesche, abbozzò la professione di grafico nel 1969, anno in cui si diplomò al Corso Superiore di Arte Grafica di Urbino (CSAG), un vero centro di eccellenza per la grafica, dove fu allievo di due figure-guida: Albe Steiner, dal quale imparò la necessità di una relazione tra arte e impegno sociale, e Michele Provinciali, il quale gli insegnò che un grafico diventa veramente bravo solo quando si dimentica della grafica.
E così, tracciate l’ascissa e l’ordinata attorno a cui far ruotare il suo lavoro – la grafica è uno strumento che serve a comunicare un bene comune, e il bene comune significa miglioramento sociale – da lì a poco, tra il 1971 e il 1973, il suo studio «Fuorischema» avviò col Comune di Pesaro, amministrato dalla sinistra, un rapporto ventennale di consulenza che costituì, per quel periodo, un unicum in ambito internazionale di progettazione dell’immagine di una città. Attraverso i suoi manifesti inconfondibili affissi sui muri, le persone erano informate di ogni evento di rilevanza politica, culturale, urbanistica, sanitaria... Il che significava dare a tutti un segno distintivo e riconoscibile (il suo, che a qualche bibliofilo può ricordare quello delle copertine Rizzoli firmate negli anni Settanta da John Alcorn) e saper comunicare un bando di concorso di cento pagine in una headline di quattro parole.
Ed ecco allora i manifesti della comunicazione sociale, degli incontri culturali, delle manifestazioni sportive, delle stagioni teatrali, del «Gusto dei Contemporanei», quelli sulla pace, sulle donne, sulle scuole... Coniglietti che invitano i bimbi a iscriversi all’asilo, pesci in barattolo per il Mercatino delle Meraviglie, pellicani coi pattini che ricordano di correre alla fiera... Del resto l’opera di Dolcini è zeppa di animali e piante, come lo sono i taccuini per le figlie finora inediti e presto pubblicati da Corraini.
Insomma, «propaganda»: sì. Ma sociale e culturale. Che Dolcini disegna con un’idea ben fissa in testa e sulla carta: che una comunicazione chiara vale più di una comunicazione bella. Ma la comunicazione migliore è chiara e bella. Questione di estetica. E di etica. «Il segno di Dolcini – scrive Mario Piazza nel catalogo della mostra – è sensibile al mutare dei percorsi della società, al progetto di partecipazione civile e politico. Il segno attinge vigore dalle cose piccole, dai fatti minori di una vita di provincia, ma dove si può essere vicini alla gente, dove si può progettare un cittadino protagonista. La città è lo specchio della vita degli abitanti: pensionati, casalinghe, operai, avvocati, amministratori e grafici».
Ecco. La città come «specchio della vita degli abitanti». Parlare di «famiglia» è troppo, ma «gruppo» rende bene l’idea. E Dolcini, in una foto diventata celebre, si fece ritrarre assieme agli attacchini comunali, i «colleghi» che appendevano i suoi manifesti in giro per la città. Manifesti e non solo. Anche la mappa dei trasporti urbani, i contrassegni per i parcheggi, biglietti del tram, il giornale della città, locandine, volantini, modulistica comunale... La grafica utile, appunto. Per la quale servono: inventiva, precisione, chiarezza. E un po’ di bizzarria. Quella necessaria a legare la pistola che non spari, per sperare nella pace. O ad annodare il rubinetto, per ricordarsi di non sprecare l’acqua. O a dipingere una gallina tricolore, per promuovere «Rock in Italy»: Rock rock rockodè... La fantasia al (servizio del) potere.
Poi, finita la «rivoluzione» e l’onda lunga socialista, la fantasia si mette al servizio delle aziende, che significa «imprenditoria della comunicazione», che significa arricciamenti di naso da parte dei vecchi compagni, che significa chiedere: Ma come? E il grafico «impegnato»? Si è venduto al mercato? E la vocazione pedagogica, l’attivismo culturale? Dove sono finiti?
Semplicemente, è al risposta, sono stati «prestati» alle strategie di comunicazione e di marketing della società degli iper-consumi, cui la «Dolcini associati srl», nata nel 1991, offre i propri servizi. Dalla Scavolini all’IFI... Il «grafico condotto» si è ridisegnato grafico imprenditore. L’artigiano in manager. Due filosofie diverse, ma con lo stesso segno. Il suo.