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 2015  luglio 03 Venerdì calendario

In Messico i soldati hanno licenza di uccidere senza più nessun controllo. Ora emergono vere e proprie esecuzioni come quella di 22 ragazzi a Tlatlaya. «Giovani uccisi in un magazzino dopo che si erano già arresi ai militari». Il centro gesuita Prodh rivela che le Forze armate possono “abbattere delinquenti”

«A Tlatlaya un anno fa i soldati hanno sparato a freddo uccidendo ventidue ragazzi». È l’accusa del Centro Miguel Agustín Pro Juárez, una delle più importanti organizzazioni di difesa dei diritti umani in Messico, che ieri ha reso pubblici dei documenti dai quali risulta che «l’esercito ha l’ordine di “abbattere” i civili» nel corso di operazioni anti delinquenza.
La mattanza di Tlatlaya, un piccolo municipio nello Stato di Città del Messico, è avvenuta il 30 giugno di un anno fa. I documenti presentati dall’organizzazione dei diritti umani gesuita che si occupa della difesa di Julia, madre di una delle vittime, provengono dal giudizio militare aperto contro otto soldati, sotto processo per non aver evitato l’aggressione da parte dei giovani che poi sono stati giustiziati, partecipando a un’operazione con una truppa insufficiente.
Nell’Ordine della Base di Operazioni “San Antonio del Rosario”, datato 11 giugno 2014 (19 giorni prima dei fatti), contenuto negli atti giudiziari, si incentiva esplicitamente a commettere gravi violazioni dei diritti umani. Nel catalogo degli ordini che regolano la base militare, al punto VII si legge chiaramente che «Le truppe dovranno operare di notte in modo massiccio e durante il giorno ridurre le attività al fine di abbattere delinquenti nelle ore di oscurità, poiché il maggior numero di delitti si commette in quell’orario».
L’Ordine dell’ufficiale a carico della base di operazioni contiene le istruzioni date al nuovo Tenente di Infanteria, all’interno dell’“Operazione Drago”. Vi si indicano le operazioni e le modalità in cui deve svolgersi la “lotta alla delinquenza” e si specifica che sono ordini provenienti dall’“Alto Comando”, vale a dire dal Ministro della Difesa Nazionale, il generale Salvador Cienfuegos.
Il 30 giugno del 2014, nel municipio di Tlatlaya, alcuni soldati del 102° Battaglione di Infanteria di San Miguel Ixtapan, Stato del Messico, hanno “abbattuto” 22 ragazzi all’interno di un magazzino. Almeno nove di loro sono stati fucilati dopo essersi arresi. Tra le persone uccise si trovava anche un’adolescente di 15 anni, figlia di Julia. Nelle ore successive l’operazione è stata rivendicata dall’Esercito e dal governo dello Stato del Messico come un successo nella lotta alla delinquenza organizzata. Ma tre mesi dopo in un reportage del giornalista spagnolo Pablo Ferri per rivista Esquire, è venuta alla luce una testimone che ha chiarito come non si sia trattato di una sparatoria ma di un’esecuzione.
Negli ultimi mesi in Messico si sono verificati vari casi di mattanze portate a termine dall’Esercito, in molti casi accompagnato da agenti della Polizia Federale in operazioni congiunte, in cui si può ipotizzare ci siano state esecuzioni arbitrarie e non “scontri a fuoco”, come sono stati definiti dalle autorità castrensi e di governo. Due esempi sono i casi del massacro di Apatzingán (Michoacán) del 6 gennaio 2015, in cui sono state uccise 16 persone, e il massacro di Tanhuato (Michoacán), in cui il 22 maggio scorso sono state uccise 42 persone accusate di essere “deliquenti”, e un agente federale. La novità del report del Centro Prodh, reso pubblico oggi, è che l’ordine di uccidere civili in maniera sistematica e come strategia militare, venga dato per iscritto, e si abbia una prova tangibile di ciò. Come evidenziano gli avvocati del Centro Prodh nel report, «Quel tipo di ordine, dal punto di vista dei diritti umani, è comunque un incentivo per i soldati a commettere esecuzioni arbitrarie» di persone ritenute, a torto o a ragione, “delinquenti”. Se è l’Esercito che stabilisce, senza processo, chi è un “delinquente” e chi non lo è, come si osserva nel documento, si scavalcherebbe il potere giudiziario e il principio di presunzione di innocenza. E, apparentemente, l’esercito messicano ha una politica di privazione arbitraria della vita di civili che non verranno processati per alcun delitto. Nel caso di Tlatlaya i soldati hanno fucilato persone che si erano già arrese. Il Centro Prodh ha potuto avere accesso a queste informazioni perché rappresenta legalmente Julia il nome della donna è inventato per proteggerne l’incolumità a cui non è stato riconosciuto lo status di vittima in nessun processo penale militare o civile, e che dal momento in cui ha saputo del processo militare contro i soldati ha combattuto per avere accesso agli atti. Ciò che chiede il Centro Prodh è che vengano resi pubblici tutti i documenti relativi alla cosiddetta “Operazione Drago” e che si citino a comparire in tribunali civili tutte le autorità militari probabilmente responsabili di esecuzioni extragiudiziali, nella loro qualità di alti ufficiali della catena di comando.