Corriere della Sera, 3 luglio 2015
«Il contagio greco più grave non è quello economico diretto sugli spread ma sulla caduta di fiducia tra il Nord (“mediterranei pigri e inaffidabili”) e il Sud (“tedeschi rigidi e cattivi”)». Parola del prof. Alesina
La fiducia reciproca (concessa e meritata) è un fattore di straordinaria importanza per il successo di un’economia e di una nazione. Se non possiamo fidarci gli uni degli altri, contratti che beneficiano entrambe le parti non si scrivono; le istituzioni politiche funzionano male; la giustizia è travolta dai litigi, e s’inceppa; se non ci si fida gli uni degli altri e lo Stato non si fida dei cittadini (e viceversa) si devono scrivere regole complicatissime per prevenire attività deleterie sulla collettività. Spesso queste regole finiscono per creare costi senza migliorare la legalità, anzi ostacolando l’attività economica legittima e produttiva. La fiducia è la colla che tiene insieme una nazione e l’olio che fa funzionare i suoi ingranaggi. Vi è di che preoccuparsi quando in Italia uno dei motti più famosi recita: «Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio». Sono sicuro che in Svezia un detto simile non esista. Non a caso la fiducia reciproca tra connazionali è molto alta nei Paesi scandinavi, alta nei Paesi anglosassoni e molto più bassa in quelli mediterranei. Non solo, ma la fiducia tra cittadini di Paesi diversi è generalmente più bassa che tra connazionali. Non è particolarmente alta nemmeno fra i Paesi dell’area euro. Infatti, la mancanza di fiducia è, a ben vedere, il motivo fondamentale per cui la costruzione dell’euro è stata imperfetta.
Due esempi tra i tanti. Una moneta unica avrebbe funzionato meglio con una politica fiscale europea più integrata. Negli Usa vari meccanismi fiscali redistribuiscono fondi tra Stati. In Europa questi meccanismi non si sono istituiti proprio perché i Paesi membri dell’euro temevano che ci sarebbero state nazioni che avrebbero approfittato di un budget europeo spendendo fondi comuni a man bassa. Secondo esempio: un’idea che circola da qualche tempo in Europa (e recentemente riproposta dalla Francia) è di istituire un sistema di sussidi alla disoccupazione a livello comunitario, finanziato da fondi europei. L’idea è economicamente irreprensibile: il secondo esempio di mutua assicurazione, cioè quando un Paese è in recessione riceve aiuti dall’Europa e viceversa, quando va meglio, aiuta gli altri. Ciò renderebbe il ciclo economico meno marcato e meno dannoso in un’area euro in cui la politica monetaria non può distinguere tra Paesi in punti diversi del ciclo. Non sarebbe un flusso di fondi che va sempre in una direzione. La Germania era il malato d’Europa negli Anni 90, quindi non è per niente detto che sempre un gruppo di Paesi vada bene e un altro male. Negli Stati Uniti i sussidi alla disoccupazione sono finanziati dal governo federale e durante l’ ultima crisi i tassi di disoccupazione erano molto diversi fra Stati. Quest’assicurazione reciproca è improponibile oggi in Europa. Nessun Paese si fiderebbe degli altri e del fatto che non ne approfittino. Immaginate poi un tedesco o un finlandese disposto a pagare con le sue tasse per la disoccupazione in Spagna, molta della quale probabilmente nasconde lavoro nero?
Ecco il vero dramma della crisi greca, che, al di là del costo economico, ha dato un altro duro colpo alla fiducia reciproca in Europa. Il contagio greco più grave non è quello economico diretto sugli spread ma sulla caduta di fiducia tra il Nord («mediterranei pigri e inaffidabili») e il Sud («tedeschi rigidi e cattivi»). L’effetto più dannoso della crisi greca, comunque vada a finire, è che ha dato un altro duro colpo alla costruzione d’istituzioni europee basate su un minimo di fiducia che facciano poi funzionare la moneta unica meglio. Di questo dovremo «ringraziare» i greci, sia se rimarranno nell’euro sia se ne usciranno pagando le dure conseguenze che meritano.