Corriere della Sera, 3 luglio 2015
Sessanta miliardi in tre anni, tanto serve per la sostenibilità del debito greco secondo l’Fmi. E mentre Varoufakis annuncia le sue dimissioni in caso di vittoria del sì, gli Usa temono un avvicinamento di Tsipras a Russia e Cina in cambio di aiuti. Circola l’ipotesi che la Grecia possa diventare il sesto dei Paesi Brics
Diventa frontale l’attacco dei leader dell’Ue al governo greco di estrema sinistra in vista del referendum indetto dal premier Alexis Tsipras, domenica prossima, per rafforzare il peso negoziale di Atene sulle misure di austerità pretese dai creditori in cambio dei prestiti di salvataggio. Il presidente olandese dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem si è aggiunto alla cancelliera tedesca di centrodestra Angela Merkel e ai vertici di Commissione europea e Consiglio dei 28 governi nel sostenere il «si».
Il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis ha annunciato le dimissioni se perderà il «no». Tsipras ha detto più genericamente che non metterà la «poltrona» davanti agli «interessi della Nazione».
Il Fondo monetario di Washington, simulando lo scenario «peggiore possibile», ha fatto sapere di ritenere necessari per la sostenibilità del debito greco una riduzione di circa 50 miliardi, l’allungamento delle scadenze e prestiti a tassi agevolati per 60 miliardi in tre anni (inclusi i 10 miliardi ora bloccati e con 36 miliardi a carico dell’eurozona,).
Per il premier Matteo Renzi «la Grecia non uscirà dall’euro, farà di tutto per fare un accordo» e, se anche uscisse dalla moneta unica, «l’Italia non avrebbe problemi economici particolari, certo sarebbe una sconfitta politica per tutti».
Dijsselbloem ha considerato un errore il referendum, che ha provocato la frattura tra Atene e i rappresentanti dei creditori (Commissione europea, Bce e Fmi). «Il governo greco ha rigettato tutto con la convinzione che, se voteranno no, otterranno un pacchetto meno duro, più amichevole – ha dichiarato il presidente dell’Eurogruppo —. Questa convinzione è semplicemente sbagliata». La vittoria del «no» metterebbe la Grecia e l’Europa in una posizione «molto difficile» e sarebbe «estremamente difficile» per Atene rimanere nell’euro, nonostante l’adesione alla moneta unica sia irreversibile. Per Dijsselbloem la vittoria del «si» renderebbe «promettente» la ripresa dei negoziati per nuovi prestiti.
Varoufakis si è detto «certo» di un accordo con i creditori dopo il referendum. In caso di vittoria dei «sì» non accetterebbe un compromesso senza ristrutturazione del debito. Tsipras si è dichiarato «aperto» a fare «concessioni» per arrivare a un accordo «48 ore dopo il referendum», ma con una «soluzione percorribile» nel taglio del debito. Ha promesso che le chiusure delle banche «non dureranno a lungo».
Dubbi stanno emergendo sulla regolarità del referendum. Il Consiglio d’Europa di Strasburgo ha segnalato il preavviso troppo breve e il quesito poco chiaro. Cittadini greci sono ricorsi al Consiglio di Stato, che dovrebbe esprimersi oggi.
Il segretario generale della Nato, il norvegese Jens Stoltenberg, ha espresso preoccupazioni geopolitiche. «La Grecia è un alleato della Nato impegnato e fedele – ha detto —. Mi auguro sia possibile trovare una soluzione perché sarebbe un bene per la Grecia, per l’Europa e per la Nato». Gli Stati Uniti, temono un avvicinamento di Tsipras a Russia e Cina in cambio di aiuti. Circola l’ipotesi che la Grecia possa diventare il sesto dei Brics (Russia, Cina, India, Brasile e Sud Africa) già nel vertice in programma la prossima settimana. Il governo ellenico avrebbe accesso ai prestiti della banca di sviluppo di questi Stati emergenti.