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 2015  luglio 02 Giovedì calendario

Nel 2014 ci sono stati 3,3 scioperi al giorno nei servizi pubblici essenziali. Il settore più colpito è quello del trasporto locale e dei servizi di igiene ambientale che in un anno ha visto susseguirsi 331 scioperi. A seguire il trasporto aereo con 182 ovvero un’agitazione ogni due giorni

Nel 2014 in Italia ci sono stati nei servizi pubblici essenziali 1.233 scioperi ovvero più di 3,3 scioperi al giorno. Siamo rimasti grosso modo ai livelli del 2013 quando le astensioni dal lavoro erano state 1.279. Il settore più colpito è quello del trasporto pubblico locale e dei servizi di igiene ambientale che in un anno ha visto susseguirsi 331 scioperi, quasi uno al giorno. Segue il trasporto aereo con 182 ovvero un’agitazione ogni due giorni. I numeri, dunque, sono impietosi e sono stati resi noti dal garante degli scioperi Roberto Alesse nella sua tradizionale relazione annuale.
È vero che è sceso il monte delle astensioni anche solo proclamate (da 2.338 a 2.084), che sono aumentate nettamente le sanzioni comminate e il numero dei soggetti colpiti ma il quadro che emerge dalla documentazione dell’authority è sconsolante. E invita un po’ tutti a una riflessione anche perché anche con tutta probabilità il 2015 sta viaggiando grosso modo sugli stessi numeri. Alesse ha sottolineato come sui servizi pubblici si siano scaricate anche tensioni politiche più ampie come del resto testimonia il numero degli scioperi generali passato da 7 a ben 17. Successivamente il garante ha rilanciato la sua visione del problema sostenendo la bontà della concertazione e criticando nella sostanza la politica governativa di compressione del ruolo dei corpi intermedi. Una proposta utile, ribadita da Alesse, è quella di sottoporre a referendum consultivo l’effettuazione degli scioperi.
Ma al di là dei bilanci aritmetici e delle rispettabili opinioni del garante l’impressione è che la politica e l’opinione pubblica considerino la quantità di scioperi nel trasporto pubblico alla stregua di una malattia endemica che non si può sradicare. È vero che c’è lo spinosissimo tema del rinvio continuo del rinnovo dei contratti a causa dello stato pietoso delle finanze di molte municipalizzate ma i vertici confederali evitano di prendere in mano la patata bollente e la fanno gestire alle categorie. Che a loro volta, messe in difficoltà dalla concorrenza di Cub e Cobas che soffiano sull’insoddisfazione dei lavoratori, non hanno sempre adottato comportamenti coerenti. Quando si descrivono situazioni di questo tipo si finisce giocoforza per invocare la convocazione di un «tavolo» ovvero l’individuazione di un luogo istituzionale nel quale cercare di dipanare la matassa e quantomeno intravedere avviare la ricerca di soluzioni. Di sicuro un Paese che punta ad uscire dalla crisi e darsi un indirizzo di maggiore competitività non può vivere accettando di pagare lo scotto di più 3 scioperi al giorno nei servizi essenziali, sciopero che, andrebbe detto con maggior forza, alla fine vanno a pesare sulle categorie più deboli e su quelle che hanno maggiore necessità di spostarsi per via della disarticolazione del mercato del lavoro.