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 2015  luglio 02 Giovedì calendario

Intanto, lontano da Atene, sul mercato dei cambi va in scena un altro appassionante scontro. Quello tra euro e dollaro con la divisa europea che ieri ha ceduto quasi l’1%. Crescono oltre le attese i posti di lavoro negli Stati Uniti

Mentre Tsipras e la Merkel si avvicinano al duello (finale?) del referendum in programma domenica in Grecia sull’approvazione del piano proposto dai creditori, sul mercato dei cambi va in scena un altro appassionante scontro. Quello tra euro e dollaro con la divisa europea che ieri ha ceduto quasi l’1%, dopo aver preso nel corso dell’ultimo anno una chiara direzione ribassista per l’euro, arrivato a marzo fino a 1,04 rispetto agli 1,4 dollari a cui era scambiato fino all’estate scorsa.
Dopodiché qualcosa si è rotto e il biglietto verde si è leggermente sgonfiato fino a quota 1,15. In questo movimento le parole usate da esponenti americani hanno certamente avuto il loro peso nell’indicare a più riprese che «un dollaro troppo forte è un problema». Ma se è vero che la politica monetaria – come ha detto l’ex governatore della Federal Reserve Ben Bernanke- si fa per il 98% con le parole, è anche vero che i numeri non lasciano comunque indifferenti i mercati. Come conferma il ribasso di ieri dell’euro nei confronti del dollaro, sceso sotto la soglia di 1,11. Sulla valuta unica, già provata dal nervosismo relativo agli sviluppi delle trattative fra Grecia e creditori, è giunto a pesare in apertura dei mercati Usa il buon dato sull’occupazione del settore privato. Il settore privato americano ha creato a giugno 237mila posti di lavoro, come indicato dal sondaggio dell’Adp. Il dato è superiore alle attese degli analisti, che scommettevano su 218mila posti. I dati ufficiali sul mercato del lavoro saranno pubblicati oggi, e le attese sono per 230mila nuovi posti con un tasso di disoccupazione al 5,4%.
I numeri preliminari del sondaggio certificano in ogni caso che a giugno gli Usa hanno segnato il più alto incremento di posti di lavoro da dicembre. Hanno battuto le attese anche i dati dell’indice Ism che misura l’andamento del settore manifatturiero negli Stati Uniti: a giugno è salito a 53,5 punti dai 52,8 punti di maggio. Gli analisti avevano previsto un’espansione minore, a quota 53,1 punti. Questi numeri hanno dato tono al dollaro, penalizzando l’euro che, sulla ripresa delle trattative fra Atene e le controparti internazionali, era comunque riuscito a mantenere una certa tonicità malgrado il mancato pagamento della rata dovuta al Fmi entro martedì.Il dollaro non si è rafforzato solo nei confronti dell’euro, ma anche delle altre principali valute, come espresso dal dollar index, che monitora l’andamento della divisa statunitense in relazione a un paniere di sei valute, ponderate con pesi specifici differenti (euro 57,6%, yen 13,6%, sterlina 11,9%, dollaro canadese 9,1%, corona svedese 4,2%, franco svizzero 3,6%). Il dollar index ieri ha superato i 96 punti allontanandosi dal minimo di periodo a 93 toccato a metà maggio. E questo dimostra che nonostante gli sforzi degli Usa per evitare un ulteriore rafforzamento del dollaro, questo da un certo punto di vista pare nella logica degli eventi dei prossimi mesi pressoché inevitabile. Perché gli Stati Uniti si apprestano a rialzare i tassi mentre Eurozona e Giappone vanno avanti con le manovre espansive di quantitative easing, complici delle prospettive inflazionistiche più basse che negli Usa.
Va però detto a tal proposito che la crisi della Grecia potrebbe offrire un’occasione alla Federal Reserve per rimandare ulteriormente il primo rialzo dei tassi dopo ormai quasi 10 anni (è dal 2006 che dalle parti di New York non si opera una stretta monetaria). Non è un caso che il mercato monetario Usa offra elementi contradditori rispetto alle dichiarazioni ufficiali che aprono appunto a un rialzo (o due) dei tassi Fed Funds entro fine anno(che attualmente oscillano tra 0 e 0,25%). I rendimenti dei titoli di Stato a due anni viaggiano allo 0,68%, un livello paradossalmente più basso rispetto a inizio anno (0,73%) quando invece i mercati scontavano un rialzo dei tassi a giugno. Bene, giugno se n’è andato e i tassi statunitensi sono ancora fermi. Staremo a vedere se sarà la stessa solfa a settembre. Una cosa è certa: la Grecia può rappresentare un intralcio nel breve periodo ma tra poco i mercati torneranno a concentrarsi sul vero driver: quel cambio euro/dollaro il cui andamento, nel mondo della finanza globalizzata, equivale al battito d’ali di una farfalla capace di smuovere tutte le altre asset class. Cosa accadrà a Borse e bond se il cambio scivolerà sotto la parità da qui a 12 mesi come pronosticato da molte banche d’affari?