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 2015  luglio 02 Giovedì calendario

Anatomia del libro perfetto. Stefano Calabrese svela come nascono i successi editoriali planetari. Tra scrittori trasformati in brand, case editrici in califfati multimediali e fan che determinano il mercato. Benvenuti nella nuova dimensione del bestseller globale

Scrittori che non scrivono, o almeno non fanno più solo questo. Lettori che non vogliono più leggere, ma aspirano a diventare coautori. E case editrici trasformate in califfati multimediali. Benvenuti nella nuova dimensione del bestseller globale. Per chi si è formato sul canone occidentale, per chi considera romanzieri Flaubert e Tolstoj, e anche García Márquez e Roth, forse occorre allacciare le cinture di sicurezza perché è come entrare nel vortice della narrativa tridimensionale dove saltano tutte le categorie a cui siamo abituati. Dove l’autore non è più l’artefice di un testo ma l’inventore di una storia “solubile”, ossia spalmabile nei vari media. E il suo fruitore non si accontenta più di leggerla ma ambisce a esserne coproduttore, allargandola o restringendola come un elastico. E quello che un tempo chiamavamo lettura, ossia il meraviglioso corpo a corpo con un testo scritto che era avventura della conoscenza, è ormai diventato divertente bricolage del produttore-consumatore secondo modello Ikea. Benvenuti nel romanzo ad Alta Leggibilità, come oggi si usa dire, che è poi la gran parte di quello che si pubblica nel pianeta. Il romanzo QB, quanto basta, dispensato secondo dosi ben studiate dal marketing. E che ci viene rivelato con sapienza, ironia e forse pacata rassegnazione da Stefano Calabrese in Anatomia del bestseller. Come sono fatti i romanzi di successo (Laterza): un’incursione nel terreno della letterarietà con strumenti che attengono alla sociologia, al mercato, perfino alle neuroscienze.
Con giusta tempestività il saggio di Calabrese esce nell’estate calda del lettore planetario, come la definisce El Pais, nella stagione del lancio in duecento paesi e in cinquanta lingue della nuova puntata della saga erotica di EL James, Grey, e dell’attesissimo sequel del Millenium di Stieg Larsson affidato allo scrittore svedese David Lagercrantz. Due titoli che esemplificano la fenomenologia del bestseller globale, fondata sull’imprescindibile regola della ripetizione. Ha successo solo ciò che si ripete. E cosa c’è di più ripetitivo della serialità, della riproposta di personaggi e ambienti in trilogie e tetralogie, a sua volta moltiplicata dagli specchi dei piccoli e grandi schermi? Eccoci all’interno del bestsellerificio di cui già possediamo una delle chiavi più importanti: guai inventare, ossia spiazzare o confondere il lettore. Il quale vuole essere confortato in ciò che già sa. Una ragione del successo di Dan Brown, sovrano assoluto con duecento milioni di copie, è la formula “sette capitali in sette giorni” con cui le agenzie statunitensi arpionano i pensionati del Michigan: anche i suoi romanzi mostrano una carrellata di cartoline ben selezionate in cui il lettore riconosce il suo abc artistico e ne viene soddisfatto.
La ripetibilità non è solo traguardo, ma anche partenza. Una delle serial fiction più fortunate degli ultimi cinque anni, il pornosoft della James, nasce come spin off di Twilight. Vuol dire che la James ha ripreso i personaggi principali della serie inventata da Stephanie Meyer e vi ha costruito intorno una nuova storia, con più sesso e senza vampiri. In altre parole, Cinquanta sfumature di grigio è quasi identico alla “fan fiction” con cui la James esordì facendo il verso alla Meyer. È «l’effetto domino della creatività» (anche se forse dovremmo cercare un’altra parola).
Nel romanzo new global niente è eguale a prima. L’autore non è più tale, divenuto ormai un brand in prospettiva intermediale. L’opera perde la sua centralità trasformandosi in un flusso continuo di diramazioni. E il lettore è il nuovo padrone della scena, specie in rete, munito delle sue faccette, dei suoi pollici alzati, dei suoi “mi piace”. Giudizi che il più delle volte dipendono dal grado di coinvolgimento raggiunto, dalle «mareggiate di ossitocina» e dagli «tsunami di adrenalina». E qui si apre un’altra porta del nuovo romanzificio globale. Se finora la lettura ha significato conoscenza, immedesimazione e anche immaginazione, per il nuovo lettore planetario è una esperienza quasi esclusivamente emotiva. Una immersione totale che produce felicità e rabbia, ma soprattutto fuga dalla realtà.
Siamo alla letteratura-farmaco, antidepressivo o ansiolitico a seconda dei casi. Il suo consumo bulimico viene favorito dal successo della serialità televisiva, il binge eating sul divano di casa che ci porta all’orgoglioso collezionismo delle puntate de
Il trono di spade o di altre serie tv. Tutto questo, ci avverte Calabrese, è il frutto di una sapiente strategia di marketing ma è soprattutto la risposta a una richiesta del pubblico. Siamo noi bisognosi di evasione da un mondo che ci piace sempre meno. Anche i dati ce lo confermano: il trionfo del romanzo (più 44 % mondiale registrato da Nielsen nella seconda metà del 2011) coincide con il rallentamento dell’economia e con la crisi globale.
L’ultima porta da aprire, nell’industria del transromanzo, si spalanca verso l’abisso, e forse è quasi inutile procedere. Chi ci ha seguito fin qui avrà capito che la scrittura è ormai ridotta a optional. Tanto più è anonima e sprovvista di espressività quanto più facilita la sua trasposizione televisiva. Nel romanzo plurimediale la scrittura è diventata solo uno dei codici, e certo non il più importante. Ma tra i nuovi padroni dell’immaginario c’è chi riesce a mescolare strumenti diversi rispettando il territorio della letterarietà. Come moltissimi suoi colleghi – da Zafón a Coelho, da Collins al nostro Camilleri – anche Murakami è stato uno screen writer, però non tradisce il patto con i lettori più classici. I suoi «romanzi smart», che corrono tra piani diversi del discorso, sono disseminati di germi narrativi che solo in parte si trasformano in storie raccontate. Ed è un suo personaggio a ricordare che Euripide nelle tragedie ha praticato questa tecnica retorica. Murakami come Euripide del nostro tempo? Il problema è che lo scrittore giapponese non può disporre del deus ex machina. Anche nella vita reale, fa notare Murakami, non disponiamo di un deus ex machina, altrimenti sarebbe tutto più facile. Ed è uno dei rari momenti, in questo viaggio nella narrativa a tre dimensioni, in cui ci si sente finalmente a casa.