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 2015  luglio 01 Mercoledì calendario

Jiang, la buyer del Dragone. Così una giovane cinese di 27 anni, capello lungo e setato e pelle di porcellana, si rivende l’alta moda italiana in Cina. Funziona così: prima fa le foto alla merce, le pubblica online e aspetta l’ordine dalla lista dei suoi contatti, poi prende appuntamento con la commessa del negozio e conclude l’affare. Paga in contanti, con pezzi da dieci e da venti euro. Non compra mai per meno di mille, ha uno sconto del 10/15 per cento ma a volte il conto gonfia un po’

Via del Babuino, una sfilza di boutique di lusso. Il sole è allo zenith, Jiang (il nome è di fantasia), una ragazza cinese di 27 anni, capello lungo e setato, la pelle di porcellana, esce da una porta a vetri con due buste grandi la metà di lei e si va a riparare sotto l’ombra lungo il marciapiede dall’altra parte della strada. Tira fuori lo smartphone e su Wechat (servizio di messaggistica online) comunica all’amico in Cina che l’acquisto è andato a buon fine. Jiang è arrivata nella Capitale a 15 anni e una settimana fa ha mollato il lavoro nel negozio di casalinghi dei suoi genitori per fare la buyer, la rivenditrice di abiti e accessori di alta moda ai clienti del Dragone.
Funziona così. Prima fa le foto alla merce, le pubblica su una pagina vetrina del social network e aspetta l’ordine dalla lista dei suoi contatti. Parenti, amici, amici degli amici. Circa un centinaio. Poi prende appuntamento con la commessa del negozio e conclude l’affare. Paga in contanti, con pezzi da dieci e da venti euro. Lo scontrino non è mai sotto i mille euro. Ha uno sconto del 10/15 per cento ma rivende in Cina a prezzo pieno, a volte lo gonfia un po’, soprattutto se deve farsi carico delle spese di spedizione. Come lei ce ne sono tantissimi altri. Tutti giovani, dai 20 ai 40 anni, che abitano in Italia. In particolare tra gli studenti universitari, per pagare l’affitto e togliersi gli sfizi. Non ci sono dati ufficiali.
È un fenomeno sommerso eppure sotto gli occhi di tutti. In rapidissima espansione. Fino a due anni fa nessuno di loro s’improvvisava “buyer”. Ora è diventato il primo o secondo lavoro. Li trovi in fila alle casse, seduti sulle poltrone di velluto nei salottini dei negozi dei grandi marchi, spuntano oltre l’ingresso, uno dietro l’altro come una scatola cinese.
Hanno il viso ricurvo sul maxi schermo del cellulare, trattano, calcolano, scattano. I negozi del centro storico li coccolano. Senza di loro molti avrebbero chiuso. Da Pinko in via Frattina lo giurano: “Per fortuna ci sono i cinesi, i russi sono quasi scomparsi. Abbiamo venti loyal (i clienti fedeli, ndr), ognuno ci fa visita almeno due volte alla settimana, spendono dai 1500 euro fino ai 9mila a botta”. Alcuni intestano il tax free (applicato ai turisti in aeroporto) a terzi per racimolare qualche soldo in più. In genere trovano sempre un modo per evitare di accollarsi le spese del pacco. “Siamo in troppi, da gennaio è salita la concorrenza – dice Jiang con accento romano –. Io sto aiutando un’amica per imparare, anche se non mi vuole rivelare quanti clienti ha. Parliamo poco tra di noi, non ci fidiamo mai. Comunque si guadagna bene. È il mio nuovo mestiere”.
Una commessa ci mostra un giubbino di paillettes blu elettrico: “Questo lo adorano perché una star cinese una volta l’ha indossato”. Poi apre una maglietta con l’icona di Paperino. “Impazziscono per questa. Una studentessa cinese ne ha comprate 70”. La commessa ci racconta che per andare incontro alle loro richieste ha scaricato l’app Wechat. Ma è inutile, “non vogliono avere altri intermediari, vengono direttamente in negozio”. Nelle università italiane il numero di studenti cinesi è schizzato. Stando alla stima di Almalaurea, nel 2004 quelli laureati erano 16, dieci anni dopo 747. Tanto per dire, all’Accademia di Belle arti di Roma, nel 2009 non c’erano iscritti cinesi, oggi invece sono 600.
Vitali per l’economia del Paese anche i turisti della Repubblica popolare. Secondo i dati Global blu, da gennaio ad aprile i loro acquisti sono cresciuti del 50%. Mentre quelli dei russi si sono dimezzati a causa dell’indebolimento del rublo, dell’embargo e della guerra in Ucraina. Dal 2014 quella cinese è la nazionalità top spender (31% del mercato) con 980 euro di scontrino medio. Lasciandosi alle spalle Russia (14%) e America (5%). Si concentrano a Milano (con il 35% delle spese), tra via Montenapoleone e piazza Duomo; a Roma (20%), in via Condotti e via del Babuino; e Firenze (9%). Pagano con Unionpay, l’unica carta di credito autorizzata dal governo cinese.