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 2015  luglio 01 Mercoledì calendario

Quei centodieci giorni in cui l’ex Cavaliere è ritornato libero grazie al buon esito dei servizi sociali. Berlusconi ha subito tre colpi in rapida sequenza: il primo da Napoli, con la richiesta dei cinque anni di galera per la presunta corruzione dei senatori ai tempi di Prodi; il secondo da Bari, con l’ordinanza di accompagnamento coatto davanti ai giudici, in piedi tra le guardie come Pinocchio e infine la mazzata del Ruby ter

Nuovamente Arcore è sotto assedio. L’illusione di avere ricacciato indietro le procure ha avuto vita brevissima, nemmeno quattro mesi da quando la Suprema corte di Cassazione diede ragione a Silvio proprio su Ruby. Centodieci giorni, per l’esattezza, in cui l’ex Cavaliere è ritornato libero grazie al buon esito dei servizi sociali e ha ricominciato a coltivare propositi politici di «grandeur». Ma ora Berlusconi torna a sentirsi braccato, come nei suoi incubi più angosciosi. Tre colpi in rapida sequenza: il primo da Napoli, con la richiesta dei cinque anni di galera per la presunta (tale rimane fino a condanna definitiva) corruzione dei senatori ai tempi di Prodi; il secondo da Bari, con l’ordinanza di accompagnamento coatto davanti ai giudici, in piedi tra le guardie come Pinocchio; infine la mazzata di ieri, a sentire chi se ne intende quella più densa di cupi presagi, forse l’unica potenzialmente in grado di stendere al tappeto un combattente come Berlusconi e di spianare la strada al già lanciatissimo Salvini. Accusa che in parte poteva essere evitata, poiché fa leva su un peccato d’origine che, tornando indietro, l’uomo forse mai più commetterebbe: quello di presentarsi all’inizio della vicenda Ruby da Vespa e di giurare sui propri figli che solo di feste eleganti si trattò, nulla di «men che commendevole». Fu un errore tragico di «story telling», come usa dire adesso, perché il quattro volte premier così mise la propria parola e dunque la sua stessa reputazione nelle mani (e che mani!) di chi partecipava a quei festini.

L’ira
«Accuse basate sul nulla», è stata ieri la sua reazione a mezzo stampa, «un altro tentativo della procura di Milano» di costruire un teorema come tanti in passato. Berlusconi viene raccontato come è facile immaginare, cioè costernato e ferito, adirato e avvilito, ma anche pronto a reagire. Già confida «nell’imparzialità e nel buon senso dei magistrati giudicanti, che già», osserva speranzoso nel comunicato, «mi hanno assolto per le stesse vicende con formula piena». Molto più vibrante il tono dei suoi capigruppo, Romani e Brunetta e Romani, che in una dichiarazione scritta a quattro mani denunciano la «vicenda grottesca», l’«ennesimo processo politico», la «violenza inaudita da parte della Procura». Tacciono gli avvocati Ghedini e Longo, che in passato sempre si erano fatti sentire: stavolta un atto di eleganza da parte loro, visto tra l’altro che i pm li scagionano dalle accuse. Anna Maria Bernini, numero due del gruppo senatoriale, coglie un segno di degrado nella conferenza stampa indetta dai pm: «Un tempo i magistrati parlavano per sentenza, adesso invece si pronunciano direttamente davanti alle telecamere...».

Poca eco
Rispetto a occasioni analoghe, non si è udito il coro assordante dei «peones» berlusconiani che nessuno, stavolta, ha sollecitato a dichiarare. Un tweet del neo-governatore della Liguria Toti («Non riusciamo a diventare un Paese normale»), l’indignazione della Gelmini, la solidarietà da Ncd di Cicchitto e poco più. I tempi sono cambiati.