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 2015  giugno 30 Martedì calendario

I cinquant’anni di Alessandro Gassmann. Che sia bello, superficiale, o senza scrupoli piace sempre. L’attore parla dei suoi film, del teatro e dei prossimi lavori. Ma intanto ricorda il padre, venuto a mancare quel 29 giugno di 15 anni fa: «È vero, un po’ mi rompeva le scatole, però, adesso che non nessuno mi chiede più di lui, a tratti mi manca»

Adesso che ha mezzo secolo ed è esattamente ciò che voleva diventare, un attore di cinema, teatro e tv baciato dal successo, amato dal pubblico, popolare ma anche impegnato, quella domanda che un tempo lo faceva fremere di impazienza (Cosa significa essere figlio di Vittorio Gassman?), gli fa quasi nostalgia: «È vero, un po’ mi rompeva le scatole, però, adesso che non me la fanno più, a tratti mi manca». 
La verità, forse, è che ad Alessandro Gassman manca quel padre, scomparso 15 anni fa, il 29 giugno, in un giorno d’inizio estate che tanti ricordano benissimo: «Penso che quella lezione non debba andare perduta, che il suo cinema dovrebbe essere studiato nelle scuole, perchè è importante». Lui quell’esempio l’ha tenuto ben presente. Questo, per la varietà degli impegni, dei ruoli, dei premi, è sicuramente il suo anno. 
È perfetto quando fa il bello, superficiale, e senza scrupoli. Le piace?
«Sì, l’aspetto fisico va in quella direzione, negli anni mi ci sono abituato, però credo che i successi derivino sempre dal trovarsi in film giusti, con compagni giusti».
Per I nostri ragazzi di Ivano De Matteo e per Il nome del figlio di Francesca Archibugi ha appena vinto il Nastro d’Argento, come si è trovato nei due film?
«Forse I nostri ragazzi è il più innovativo, tratto da un romanzo importante, il mio è un ruolo fatto di piccole cose, non dovevo eccedere, ne sono orgoglioso. Nel Nome del figlio è stato diverso, Francesca non ha messo freni, mi ha lasciato libero di improvvisare e di rendere mio il personaggio». 
In «Se Dio vuole» di Edoardo Falcone (David di Donatello e Nastro d’argento per il miglior esordio), è un sacerdote. Che rapporto ha con la religione?
«Sono non credente, però immagino che non finisca tutto qui... Ho grande rispetto per chi ha fede, molto meno per chi vuole imporla agli altri o usarla come strumento per levare loro libertà».
Che opinione ha su Papa Francesco?
«In questo momento è il mio riferimento di sinistra, dice le cose più importanti su tutto, dalle coppie gay in poi, si oppone proprio a quel tipo di Chiesa che non mi piace».
Concorderà anche sul tema immigrazione, fronte su cui, nella sua veste di ambasciatore Unhcr, lei è molto impegnato.
«Sì. Ho girato un documentario, si chiama Strappati e parla degli artisti siriani rifugiati in Giordania e in Libano, ospitati nelle case, oppure raccolti in campi dove con la loro arte cercano di migliorare le esistenze degli altri rifugiati. Nel conflitto siriano hanno perso la vita 280 mila persone, nove milioni non hanno più casa, è gente che fugge dalla morte... Insomma, è inutile lamentarsi, ripetere che da noi non c’è lavoro, bisogna dare risposte pratiche».
Qualcuno lo fa?
«I siciliani stanno facendo cose straordinarie, sono invece molto deluso dalla reazione francese, ho scritto un tweet alle autorità competenti, naturalmente non gliene importerà nulla, ma ho chiesto dove fossero finiti i concetti tanto sbandierati di Liberté, Égalité, Fraternité».
Fa anche tanto teatro, ha appena diretto la versione ambientata nel manicomio di Aversa di «Qualcuno volò sul nido del cuculo», per citare uno fra i più recenti impegni. Perchè è così importante continuare a farlo?
«Il teatro è respiro, serve a purificarti, a rimetterti in contatto con il Paese, a guadagnare di meno, che è una cosa buona. Per un attore è la palestra ideale, aiuta ad essere migliori sul grande schermo. Non c’è nessuno, tra gli interpreti di cinema più straordinari, che non abbia fatto anche teatro».
Quali sono i suoi prossimi impegni in palcoscenico?
«Farò la regia della Pazza della porta accanto, un testo di Claudio Fava su Alda Merini, con Anna Foglietta protagonista».