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 2015  giugno 30 Martedì calendario

«La finanza è una pistola. Ma è la politica che preme il grilletto» ha scritto il Financial Times riguardo alla crisi greca. La pistola dei creditori si chiama sistema bancario greco. La pistola di Tsipras è la volatilità indotta dalla crisi greca sui mercati. Ma è una pistola con pallottole spuntate

A cinque anni dalla prima dichiarazione di insolvenza, il programma di ristrutturazione del debito greco è precipitato nel caos. Difficile scovare altri esempi di crisi del debito sovrano gestite in modo così incompetente e inconcludente. La colpa va equamente distribuita tra creditori e debitori. Ma recriminazioni e analisi adesso non servono a niente. Conta delineare gli scenari possibili e le conseguenze per il mercato e l’economia internazionale.
Il problema di fondo è la trasformazione di una crisi finanziaria in un problema squisitamente politico. Per la prima volta, infatti, in una crisi di debito sovrano, anche i creditori sono Stati. Questo ha reso molto difficile raggiungere un accordo per il debito che sarebbe, ed è ancora, la soluzione economicamente più vantaggiosa per tutti.
Tutto è cominciato con la decisione sbagliata della Troika di privilegiare gli interessi delle istituzioni finanziarie dei paesi creditori. I prestiti e gli acquisti di titoli erogati da governi e istituzioni europee sono andati così a finanziare l’uscita dei privati dai titoli di stato greci e a salvare le banche, invece di finanziare la spesa pubblica greca, ammortizzando il costo sociale del programma di salvataggio.
Poi è venuta la decisione di Tsipras di trasformare la negoziazione sulla ristrutturazione in uno scontro politico sul ruolo egemonico della Germania in Europa e sui rischi dell’euro per la democrazia: questioni politicamente rilevanti, ma che non aiutano in una trattativa economica.
Gli scenari ora possibili sono tre e dipendono dall’andamento dei mercati e da come le parti in causa lo sfrutteranno come arma negoziale a proprio favore. Allo scontro vanno i politici ma l’esito sarà molto probabilmente determinato dai mercati. Concetto ribadito dal Financial Times: «La finanza è una pistola. Ma è la politica che preme il grilletto».
La pistola dei creditori si chiama sistema bancario greco. Durante tutto il negoziato è stato tenuto in vita dalla Bce che gli finanzia circa la metà della raccolta. Il lungo negoziato ha provocato un’emorragia di depositi e di capitali verso l’estero; con la rottura delle trattative, la corsa agli sportelli è diventata un fiume. Ed è bastato che domenica la Bce bloccasse l’erogazione di ogni nuovo fondo di emergenza per costringere la Grecia a imporre rigidi controlli ai movimenti di capitale, calmierare il contante e chiudere banche e Borsa fino al referendum. Il referendum è di fatto un plebiscito su Tsipras più che sull’euro. Difficile non sospettare che i creditori abbiano voluto far sperimentare ai greci cosa voglia dire vivere oggi senza un sistema di pagamenti funzionante: un antipasto di quello che accadrebbe se fossero tagliati fuori dal mercato internazionale dei capitali, per non aver accettato la disciplina dell’euro. La malcelata speranza è che, provati da questa esperienza, boccino definitivamente Tsipras. E si passi così a stipulare un accordo con un nuovo governo, magari tecnico, benedetto e finanziato dai creditori. Un film già visto: il timore della Grexit svanirebbe e i mercati festeggerebbero con forti rialzi. È questo lo scenario più probabile. La pistola di Tsipras è la volatilità indotta dalla crisi greca sui mercati. Ma è una pistola con pallottole spuntate. Nella vicenda di Atene, scadenze non rispettate e trattative interrotte non hanno mai evocato lo spettro di una crisi finanziaria tale da preoccupare i governi dei paesi creditori e spingerli ad ammorbidire le richieste. Neanche l’annuncio a sorpresa del referendum ha fatto crollare i mercati in misura tale da indurre i creditori a offrire nei prossimi giorni un accordo più favorevole di quello proposto sabato. Dopo la caduta in apertura, l’euro si è rafforzato. Lo spread italiano e spagnolo sono rimasti sotto i 160 punti, ben lontani dalle giornate di crisi del recente passato, anche perché adesso si è aperto il paracadute della Bce. Le Borse sono scese, ma forse ha contribuito anche il tracollo delle azioni cinesi, oltre alle valutazioni troppo elevate raggiunte in primavera. A meno di improbabili crolli nei prossimi giorni, questo secondo scenario, ovvero un accordo prima del referendum, non è molto realistico.
Il terzo scenario è che il referendum diventi un plebiscito a favore di Tsipras. Nonostante la maggioranza dei greci sia a favore dell’euro, spesso i piani di salvataggio imposti dall’esterno, come le sanzioni economiche, finiscono per alimentare un forte nazionalismo e il sostegno a chi governa, contro l’ingerenza straniera. La possibilità, che oggi non viene presa in considerazione, è che sia il governo greco a decidere di uscire dall’euro perché i costi di restare nella moneta unica potrebbero a quel punto superare quelli dell’uscita. La Grecia ha già perso il 25 per cento del Pil e se accettasse l’inevitabile nuovo piano di salvataggio non avrebbe grosse speranze di ripresa; di fatto è già tagliata fuori dal mercato dei capitali internazionali e ha sistema bancario in bancarotta senza il respiratore della Bce. Una forte svalutazione aggraverebbe temporaneamente la disastrosa situazione economica, ma potrebbe anche innescare una forte ripresa fra qualche anno. È uno scenario poco probabile, ma avrebbe effetti dirompenti sui mercati proprio perché inatteso; e perché si sta facendo eccessivo affidamento sulla Bce per contenere efficacemente l’eventuale contagio. Sarebbe invece un salto nel buio. E i salti nel buio terrorizzano i mercati.