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 2015  giugno 30 Martedì calendario

Bruxelles e quei quattro giorni che cambieranno per sempre le sorti di Atene (e dell’Europa). Se una settimana fa la situazione sembrava difficile ma non irrecuperabile, oggi regna la delusione e la stanchezza per un negoziato durato troppo a lungo: «A novembre avevamo l’accordo ma al Fondo monetario non andava bene. Al governo c’era ancora Samaras. E ora siamo invece arrivati a questo punto»

Nessuno al quartier generale dell’Unione Europea avrebbe mai pensato che un giorno il presidente della Commissione Ue avrebbe dovuto pronunciare un discorso drammatico in difesa dell’Europa e dell’euro come ha fatto ieri Jean-Claude Juncker, entrando di peso in una consultazione popolare di uno Stato membro, chiedendo ai greci di votare «sì» al referendum di domenica.
Una settimana fa la situazione sembrava difficile, certo, ma non irrecuperabile. Nei corridoi di palazzo Berlaymont, sede della Commissione dove, al tredicesimo piano, i rappresentanti dei creditori internazionali nelle ultime settimane hanno fatto spesso notte fonda confrontandosi con la delegazione greca per arrivare a un accordo, non è stata mai persa la speranza di raggiungere un’intesa. Addirittura il giorno prima dell’Eurosummit straordinario del 22 giugno, poco dopo la mezzanotte il capo di gabinetto di Juncker, il duro (e potente) Martin Selmayr twittava: «Ricevute le nuove proposte greche, buona base per progressi all’Eurosummit di domani». Poi si sa com’è andata. Al mattino la proposta era già cambiata e il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble ghiacciava gli animi: «Non ci sono novità, senza una proposta concreta si potrà fare poco oggi». Questo era una settimana fa. Poi ci sono stati altri due incontri dell’Eurogruppo e un vertice dei capi di Stato e di governo. In mezzo proposte e controproposte a segnare un crescendo di ambiguità.
Ma c’è chi sperava ancora nell’incontro dei ministri finanziari dell’eurozona di sabato, ultima data utile prima della scadenza, oggi, del piano di aiuti alla Grecia. Venerdì notte l’annuncio da parte del premier greco Alexis Tsipras del referendum sulla proposta dei creditori coglie tutti di sorpresa e trasforma in tragedia quello che finora era parso un dramma a tratti farsesco per il comportamento di alcuni protagonisti, a cominciare dal ministro delle Finanze Yanis Varoufakis.
Venerdì notte la delegazione greca era al lavoro con i tecnici di Commissione Ue, Bce e Fmi per trovare un’intesa da sottoporre all’Eurogruppo dell’indomani: la notizia del referendum spiazza persino George Chouliarakis, il rappresentante greco nell’Euro working group, l’uomo incaricato da Tsipras di difendere gli interessi greci davanti al Brussels Group (l’ex Troika). All’Eurogruppo di sabato si consuma lo strappo definitivo. Se finora alcuni Paesi – racconta una fonte Ue – erano stati più dialoganti nei confronti di Atene, la decisione di Varoufakis di lasciare il tavolo ottiene l’effetto di compattare tutti i 18 ministri finanziari, con il francese Michel Sapin che si offre ancora di mediare in un estremo tentativo. Il risultato è la decisione di non estendere il programma di salvataggio.
L’appello di Tsipras al popolo greco di votare «no» per Bruxelles è uno choc, venerdì i creditori internazionali avevano messo sul tavolo una proposta che cercava di andare incontro alle richieste greche. «C’era anche l’abbassamento dell’Iva sugli hotel dal 23% al 13% – racconta una fonte vicina al dossier – mentre il governo greco negava l’esistenza del nuovo documento». E così domenica, dopo una serie di riunioni in un clima di tensione mista a incredulità, d’accordo con Bce e Fmi, la Commissione fa qualcosa di inusuale: pubblica «per trasparenza e informazione del popolo greco» le ultime proposte dei creditori in inglese e in greco, che «prendono in considerazione le proposte delle autorità greche dell’8, 14, 22 e 25 giugno 2015». A Bruxelles domina la delusione e la stanchezza per un negoziato durato sette mesi: «A novembre avevamo l’accordo – ricorda con frustrazione una fonte Ue – ma al Fondo monetario non andava bene. Al governo c’era ancora Samaras. E ora siamo invece arrivati a questo punto».