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 2015  giugno 30 Martedì calendario

«Il negoziato riparte dopo il referendum». Così ieri è andato a vuoto anche l’estremo tentativo di riaprire il tavolo per salvare la Grecia. Tsipras va dritto al voto e scommette sul fatto che la vittoria del “no” e il default (a quel punto inevitabile) costringano i leader degli altri ventisette paesi a cedere su tutta la linea pur di evitare la rottura dell’eurozona. Ma le cancellerie non la prendono bene: si sentono tradite

“Oxi”. “Nai”. Quando alle istituzioni europee una manina di Nia Dimokratiza – il partito conservatore dell’ex premier Samaras – ha fatto arrivare la bozza del quesito referendario prima che questa venisse resa nota in Grecia, tutti sono caduti dalle sedie. Tsipras esplora un inedito della psicologia politica: sulla scheda della consultazione popolare il “no” viene prima del “sì”. Un tentativo di influenzare il voto che potrebbe cambiare la storia della Grecia, dell’euro e dell’Unione. E una mossa che ha fatto infuriare ancor di più, se possibile, i leader europei, compatti nel vivere con fastidio l’atteggiamento del loro collega di Atene.
Ma c’è un altro punto, molto politico, che a Bruxelles e nelle grandi cancellerie non hanno mandato giù. I greci non voteranno sull’ultima proposta degli europei pubblicata due giorni fa da Juncker, ma su un testo più vecchio, meno appetibile per i cittadini ellenici. Che non contiene gli ultimi passi avanti negoziali registrati venerdì notte prima che Tsipras facesse saltare il banco convocando il referendum.
La scelta del governo greco sembra chiudere definitivamente la porta a un’intesa tra qui e domenica. Juncker, coperto dai capi di Stato e di governo più influenti, l’altro ieri aveva cercato di riportare al tavolo Tsipras mostrando ai greci che l’Europa aveva ceduto su diversi punti cruciali per Atene nonostante le informazioni fornite dal loro governo: apertura su taglio del debito, misure compensative sulle pensioni, Iva al 13% per gli alberghi e sopravvivenza della contrattazione collettiva.
Se Tsipras avesse riconosciuto quella bozza, i leader europei avrebbero convocato un summit a Bruxelles per concedere l’estensione di una settimana al piano che scade oggi in modo da permettere alla Bce di versare nuova liquidità alle banche greche e tenere il voto in un clima più disteso e a quel punto, con il sostegno di Syriza, con la certezza di una vittoria del “sì”. Ma questo non è avvenuto e i greci non potranno nemmeno esprimersi sul testo più accomodante.
Ieri è andato a vuoto anche l’estremo tentativo di riaprire il tavolo studiato dai leader del Parlamento europeo – tra i quali il capogruppo del Pse Gianni Pittella – in raccordo con diverse capitali, Roma e Parigi in testa, votando la richiesta di un summit riparatorio tra i leader. Quando gli ambasciatori di Strasburgo hanno sondato la disponibilità di Tsipras a tornare a Bruxelles si sono sentiti rispondere così: «Il negoziato riparte dopo il referendum».
Il primo ministro di Syriza dunque va dritto al voto, scommette sul fatto che la vittoria del “no” (per il quale fa campagna) e il default che a quel punto sarebbe inevitabile lunedì prossimo costringa i leader degli altri ventisette paesi a cedere su tutta la linea pur di evitare la rottura dell’eurozona. Permettendogli anche di vincere le elezioni anticipate che a Bruxelles vengono date per certe dopo il referendum. E non distendono gli animi i rumors giunti nella capitale belga su un piano già in stato avanzato predi- sposto da Siryza per stampare dracme a tempo di record.
«È tutto finito, ora siamo in campagna elettorale», era la frase che circolava ieri sera nei corridoi dei palazzi europei. Campagna elettorale aperta dal presidente della Commissione Jean Claude Juncker che piccato dal comportamento di Tsipras per la prima volta nella storia dell’Unione ha schierato l’esecutivo comunitario, imparziale per definizione, in una contesa elettorale per di più andando contro al governo in carica. Decisione non del tutto concordata con le cancellerie, tanto che più di un diplomatico racconta come ieri mattina quando tra le capitali si è sparsa la notizia che Juncker avrebbe posizionato Bruxelles in modo netto le linee telefoniche tra Palazzo Chigi, Eliseo, Bundeskanzleramt e Moncloa sono diventate roventi. «C’è grande preoccupazione che la Commissione possa perdere credibilità – commentavano in serata diversi responsabili Ue – specialmente se alla fine dovesse vincere il “no”. In questo caso Juncker come potrà in futuro sedersi ai tavoli negoziali?».
Preoccupazione che spiega la frase pronunciata poco dopo a Berlino dalla Merkel – «nessuno vuole influire sulle decisioni dei greci» – e il tweet di Renzi: «Non è un derby tra Commissione e Tsipras, è un derby euro contro dracma». Ma i sondaggi che i parlamentari europei greci portano a Bruxelles non sono rassicuranti, danno l’esito del voto in bilico e in molti temono che un’intrusione esterna nella campagna greca possa favorire la bocciatura del quesito.
Anche il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, si è smarcato pubblicamente: «Non interferisco». La seconda polemica in pochi giorni con Junker, che giovedì scorso durante il negoziato sull’immigrazione insieme ad altri leader aveva accusato l’ex premier polacco di schierarsi con il proprio Paese anziché restare neutrale. Questo il clima a Bruxelles nei giorni più caldi della storia dell’euro.