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 2015  maggio 29 Venerdì calendario

Elogio del bottone. Da insospettabile strumento del demonio – si diceva aprisse le porte dell’inferno – a oggetto di eleganza. Un gioiello che si trasforma in opera d’arte

Per favore, non chiamatelo solo bottone. Non riducetelo all’anonimo dischetto di plastica, se va bene di osso o madreperla, prodotto in serie con l’unica, servile funzione di infilarsi in un’asola e tenere chiusa una camicia, un cappotto, una manica, perché dietro i suoi due o quattro buchi c’è la storia secolare di un gioiello, di un’opera d’arte che si diceva aprisse le porte dell’inferno quando, intorno al 1.200, per la prima volta tenne stretto l’abito intorno al corpo della donna.
Da allora, l’insospettabile strumento del demonio (le dame più morigerate prefevano cucirsi addosso le camicie la mattina e scucirsele la sera) è diventato oggetto di eleganza, parure della silhouette, simbolo di un’appartenenza politica – come i bottoni rivoluzionari sulla marsina di fine ’700, col disegno della presa della Bastiglia, o quelli monarchici sul gilet primo Ottocento, con la testa del re – e addirittura espressione di uno stato d’animo, come i bottoncini in giaietto sull’austero corsetto che la regina Victoria portò per 25 anni in segno di lutto dopo la morte del marito. Balzac capiva dai bottoni del panciotto di un uomo il suo stato sociale, i suoi desideri, le sue sofferenze; all’inizio del secolo, mangiare “sbottonati” era indizio di potere. Nato soprattutto per gli uomini, a ridosso dell’Ottocento riuscì a liberare le donne dai lacci, a farsi strumento di emancipazione. Ma restò oggettino diabolico per i più puritani e continua a essere vietato sugli abiti di quaccheri e Amish.
IL COLLEZIONISTA
Poi arrivarono Chanel, Dior, Yves Saint-Laurent, l’ispirazione degli artisti, Renoir addirittura, Fragonard, Giacometti, Picasso, e il bottone, senza asole né ago e filo, entra oggi al museo, al Louvre, dove il Centro delle arti decorative gli dedica una retrospettiva grazie alla spettacolare collezione di Loic Allio, il più grande dei “fibulanomistes”, i rari, eccentrici ma appassionatissimi raccoglitori di bottoni. La collezione, tremila “opere” che il signor Allio ha collezionato in oltre trent’anni, da quando la madre antiquaria gli regalò per gioco un piccolo bottone d’inizio secolo, è stata acquistata dallo Stato francese, che l’ha dichiarata «d’interesse patrimoniale nazionale». Quasi commosso davanti all’allestimento, Allio ha confessato di non essere stanco e di rendersi conto di non aver ancora esaurito la sua curiosità “fibulanomista”.
LA TENEREZZA
Storica della moda e curatrice della mostra “Deboutonner la mode” (aperta fino al 19 luglio), Véronique Belloir spiega così il fascino del bottone: «È uno di quegli oggetti che il quotidiano e la prossimità rendono banale, eppure non è in nessun modo ordinario. La sua piccola taglia ce lo rende amico, e ci porta immancabilmente verso un sentimento di tenerezza; la sua forma, quasi sempre rotonda, contribuisce a farne uno spazio vero, in cui si concentra la percezione e l’essenza delle cose».
Se tanta estetica del bottone può sembrare ai profani un po’ forzata, il percorso della mostra è invece sorprendente. Non mancano piccoli “capolavori”, come un ritratto di donna di scuola Fragonard, un trio di bottoncini ispirati alle favole di la Fontaine dell’orafo Lucien Falize, una parure di otto uccelli dipinti su porcellana da Camille Naudot e una serie da 792 pezzi dello scultore Henri Hamm. Si scopre che di bottoni si occuparono anche Jean Arp e Alberto Giacometti, assoldati da Elsa Schiaparelli, una delle stiliste più sensibili all’uso del bottone come oggetto di moda in sé. Se la storia del bottone coincide con quella “dell’uomo vestito”, come recitano i testi di riferimento, visto che già nella preistoria l’uomo si trovò a far uso di ossa o corni per stringersi addosso le pelli di animali, il bottone moderno compare a partire dal XIII secolo. Il Settecento francese, secolo dei lumi, è anche quello dei bottoni, che diventano oggetto di lusso, spesso di maggior valore dell’abito su cui sono cuciti. Utile e ornamentale, è anche portatore di messaggi umoristici, amorosi e politici, con rebus o piccole frasi ricamate.
Nell’Ottocento si codifica l’arte dell’abbottonatura, la maschile verso destra e la femminile verso sinistra, mentre la prima metà del Novecento vede l’apoteosi del bottone come opera d’arte. Lo interpretarono a loro modo Chanel (ne bastava uno per indicare la simmetria dell’abito), Christian Dior (più romantico, con la sfilza di bottoncini ton sur ton) Balenciaga, Yves Saint Laurent, cui si deve l’uso e la definizione del bottone come “gioiello del vestito”. Oggi è incalzato dalla veloce chiusura lampo o, peggio ancora, dall’efficiente automatico. Ma è il Giappone a ricordarci che in alcuni casi è insostituibile: i neolaureati si strappano dalla giacca il secondo bottone per regalarlo alla fidanzata. Il secondo bottone: quello più vicino al cuore.