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 2015  maggio 27 Mercoledì calendario

Il clamoroso caso di Henry Gustave Molaison, l’uomo costretto a vivere nel presente. Dopo un’operazione al cervello per curare l’epilessia ha perso la memoria a breve termine. Ricorda solo quello che è successo negli ultimi 60 secondi

«L’uomo chiese una volta all’animale: “Perché mi guardi senza parlarmi della tua felicità?” L’animale voleva rispondere e dire: “Ciò avviene perché dimentico subito quello che volevo dire” – ma dimenticò subito anche questa risposta e tacque: così l’uomo se ne meravigliò». È una delle considerazioni inattuali di Friedrich Nietzsche, e uno dei grandi temi umani: il tempo. E soprattutto la memoria. Senza tempo l’uomo non sarebbe quello che è, e vivrebbe in un eterno presente.
Come successe, tra i tanti, a un signore, Henry Gustave Molaison, il quale, a metà del secolo scorso, in seguito a un’operazione al cervello per cercare di curare l’epilessia, perse per sempre la memoria a breve termine. Attenzione, memoria a breve termine non significa la settimana scorsa, ieri, stamani: in neurologia sono circa sessanta secondi, oltre i quali dimentichiamo ciò che non viene archiviato nella memoria a lungo termine. Il caso è  raccontato in un libro più appassionante e interessante della maggior parte dei romanzi in circolazione, Prigioniero del presente, edito da Adelphi (pagg. 432, euro 30) e scritto dalla neuroscienziata Suzanne Corkin, eccezionale divulgatrice quanto Oliver Sacks, Antonio Damasio, Vilayanur Ramachandran o Michael Gazzaniga.
È attraverso le lesioni cerebrali, infatti, che le neuroscienze hanno fatto passi avanti da gigante, nonostante il luogo comune secondo il quale del cervello non si sa niente. Oggi, grazie a infiniti studi, e a tecnologie come la Tac o la Risonanza magnetica funzionale, se ne sa tantissimo. Henry riconosceva i genitori, e gran parte della sua vita prima del 1953, anno dell’operazione, ma per il resto era prigioniero di un minuto, e non avrebbe mai scambiato sua moglie per un cappello, come il famoso dottor P. narrato da Sacks. In quanto, per formarsi ricordi a lungo termine, sono necessarie alcune strutture cerebrali precise, in particolare l’ippocampo e alcune zone contigue, che a Henry furono asportate, insieme all’amigdala, responsabile delle emozioni. Ma come si vive senza tempo? Viene da pensare male, malissimo, eppure la consapevolezza del tempo è anche fonte di tante angosce, del dolore per la perdita di una persona cara, o della giovinezza. Senza tempo, o meglio senza memoria, non ci sarebbero letteratura, filosofia, scienza, neppure pensieri complessi, in Italia resterebbero solo i politici, un paese di lobotomizzati naturali.
Marcel Proust avrebbe iniziato il suo capolavoro, Alla ricerca del tempo perduto, con «A lungo, mi sono coricato di buonora» e si sarebbe fermato lì, non si sarebbe mai accorto del disfacimento della vita, non avrebbe mai sofferto per la morte della mamma, o per i meravigliosi Guermantes che diventano vecchi e orribili. D’altra parte, più che il tempo, è proprio l’angoscia della memoria il tema di Proust e di quasi tutta la letteratura, insieme alla perdita del nostro io, perché perfino i ricordi sono un’illusione. Nell’Ultimo nastro di Krapp il protagonista monologante di Samuel Beckett riascolta di continuo un nastro registrato anni prima e non riesce a riconoscere se stesso. Tutto questo per una manciata di circuiti neuronali e scambi di impulsi elettrici tra neuroni, sinapsi e assoni, e per lo sviluppo di quella corteccia prefrontale che distingue homo sapiens dagli altri animali. Del resto per confutare l’esistenza dell’anima basta un Alzheimer.
Esistenzialmente parlando, ammette perfino la Corkin, potrebbe essere un affare, soprattutto per ciò che noi umani chiamiamo felicità. Come si può essere felici con la coscienza del passato, del presente, della morte? Henry, di sicuro, non era infelice, domani è un altro giorno ma per lui ogni minuto era una nuova vita. Ripetendosi mentalmente una serie di numeri, riusciva a superare diversi test mnemonici, anche per venti minuti, come fa una persona normale quando deve ricordarsi un numero di telefono, ma quando rientrava il ricercatore gli domandava «Lei chi è?». Una soluzione perfino per molti matrimoni in crisi, una moglie nuova ogni minuto. L’aveva capito perfino il genio pop Andy Warhol: «Sono un registratore con un solo tasto, con su scritto CANCELLA». Non per altro molte filosofie orientali costruiscono la propria saggezza sul vivere l’attimo, e a non farsi schiacciare dal tempo, come il vecchio carpe diem di oraziana memoria. Ho detto memoria oraziana? Orazio chi?