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 2015  maggio 27 Mercoledì calendario

Lo sviluppo che manca nel ministero della Guidi. La ministra ha saputo tamponare problemi in molte crisi industriali ma nel caso della Whirlpool-Indesit ha dimostrato di non avere tutto sotto controllo. Così al Mise già rimpiangono il suo vice De Vincenti, passato alla Presidenza del Consiglio: «Lui sì che studiava i dossier…»

Se ne parla come se fosse morto. “Quando c’era lui”; “lui sì che studiava i dossier…”. Claudio De Vincenti ha lasciato da poche settimane il ministero dello Sviluppo economico (Mise) per assumere l’incarico di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, il numero due del governo, al posto di Graziano Delrio ma la sua assenza al Mise si sente.
In quella postazione, da viceministro, ha di fatto guidato la politica industriale sin dai tempi dell’esecutivo di Mario Monti. E ha conquistato un credito di autorevolezza e prestigio in tutte le direzioni: soprattutto sul fronte sindacale dove viene apertamente rimpianto. Per sostituirlo occorre attendere le Regionali del 31 maggio, quando quella casella finirà nel puzzle che il premier ha probabilmente solo nella sua testa e che riguarda gli equilibri del Pd (nuovo capogruppo, presidenze di commissione parlamentare, direzione dell’Unità) e quelli del governo (richieste del Ncd, dell’Udc, di Scelta civica e via discorrendo).
La ministra, Federica Guidi, ha assunto finora il compito di reggere l’impatto delle molte crisi industriali cercando di tamponare i problemi. Nel caso della Whirlpool-Indesit, però, ha dimostrato di non avere tutto sotto controllo. La vicenda, già nota a febbraio, lamentano i sindacati, le è esplosa in mano nel momento della presentazione del piano industriale da parte della nuova proprietà statunitense. L’ipotesi di chiudere lo stabilimento di Carinaro, in Campania, è ancora sul tavolo e nonostante le tante rassicurazioni, anche di Matteo Renzi, non è ancora scongiurata tanto che si sta profilando una nuova spaccatura sindacale. I tavoli della crisi sono circa 150, quasi sempre gli stessi. Al ministero vengono sottolineate le vertenze chiuse: Electrolux, Ast Terni, Piombino, Termini Imerese. Il problema è che quelle soluzioni alla lunga appaiono davvero fragili.
A Terni i sindacati chiedono l’indizione di un nuovo tavolo al ministero perché dopo la sigla dell’accordo riemergono voci di cessione dello stabilimento e ipotesi di nuovi esodi incentivati.
Problemi anche a Termini Imerese dove i sindacati si sono allarmati quando, ad aprile, hanno visto che la nuova azienda, Bluetec, impegnatasi a riprendere la produzione di motori, non ha anticipato la cassa integrazione ai 770 operai. Per quanto riguarda Piombino, e quindi l’altoforno della ex Lucchini, il tavolo è in ancora in piedi per discutere le condizioni del passaggio dalla società commissariata alla nuova Cevital di Issad Rebrav, il più importante uomo d’affari algerino. Tra i punti più delicati, le condizioni della riassunzione dei dipendenti che non si annunciano favorevoli per gli operai.
I problemi sono altrettanto urgenti per il futuro. I posti di lavoro a rischio sono circa 120 mila (dati tratti dallo stesso Mise) e ci sono vertenze rilevanti di cui la Whirlpool è solo la più emblematica. Si pensi al caso di Almaviva e a tutto il settore dei call center che rischia di venire spazzato via. O al settore del divano-tessile con situazioni come la Natuzzi che non riescono a trovare pace. De Vincenti era quello che dava sicurezza a tutti per via della competenza. Professore universitario alla Sapienza viene “portato” in politica da Vincenzo Visco quando questi assume la carica di viceministro nel governo Prodi del 2006. Componente del centro studi Nens, che fa riferimento allo stesso Visco, viene notato da Pier Luigi Bersani che lo coinvolge nell’Agenda Industria 2015. Nel 2011, quando si forma il governo “tecnico” di Mario Monti, è il tecnico che lo stesso Bersani indica per il Mise.
La Uilm lo definisce “un elemento di grande certezza al ministero”. Salvatore Barone, responsabile Industria della Cgil, inconsapevolmente ne parla al passato: “Era uno davvero molto impegnato, garantiva una presenza continua, soprattutto un ruolo politico”.
Il ruolo politico di De Vincenti, tecnico, lo si è visto nel corso dell’incontro tra il governo e i sindacati sulla Scuola dove lui rappresentava Palazzo Chigi. E solo grazie all’interlocuzione strappata all’ultimo momento da Susanna Camusso Cgil, Cisl e Uil sono riusciti a ottenere la convocazione di un tavolo di confronto.
Il lavoro positivo del Mise, dicono al ministero, è confermato dalla recente firma dell’accordo di programma con la Regione Sicilia per l’Eni di Gela o dagli accordi quadro siglati per Meridiana o Prysmian e dai tanti verbali che vengano redatti ogni giorno.
Si tratta però di procedure che non solo non appaiono risolutive ma restano improntate a una logica emergenziale. A mancare, ancora una volta, è quella che veniva definita “politica industriale”. “Quello che – esemplifica Stefano Fassina che oltre a essere dissidente del Pd è anche economista – fa l’Enel quando annuncia l’intenzione di occuparsi della banda larga”.
Al Mise sottolineano l’importanza della Task force voluta da Guidi al fine di elaborare un “industrial compact” italiano. Ne fanno parte il direttore generale per la politica industriale, Stefano Firpo, Roberto Crapelli (amministratore delegato di Roland Berger Italia), Fabrizio Pagani (capo segreteria tecnica del ministro dell’Economia), il professore bocconiano Carlo Altomonte, l’esperto di politica industriale (in orbita Fiat) Giorgio Barba Navaretti, Gregorio De Felice (gruppo IntesaSanpaolo), Tommaso Nannicini (Professore associato alla Bocconi e giovane renziano),
Maurizio Tamagnini (Ad del Fondo Strategico Italiano). Si sono riuniti diverse volte con il programma di “favorire le aggregazioni tra imprese, riformulare la politica degli incentivi, puntare sulla digitalizzazione, promuovere le start up”. Un po’ poco e, soprattutto, poco efficace finora. Intanto oggi, Matteo Renzi si intesterà la produzione della Lamborghini in Italia grazie agli incentivi del governo. In realtà la Volkswagen ha deciso dopo aver avuto assicurazioni da parte dei sindacati, compresa la Fiom, sull’accordo aziendale. Ma per dimostrare che l’Italia “cambia verso”, va tutto bene.