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 2015  maggio 27 Mercoledì calendario

Il successo della prima esecuzione assoluta alla Scala di “CO2”, l’ultima opera postmoderna del compositore Giorgio Battistelli, nella recensione del maestro Paolo Isotta. Il tema è di attualità e denuncia: il fatto che la fatale catena della società nella quale viviamo rende irreversibile il processo di distruzione del pianeta, a incominciare dall’ossigeno che viene bruciato

Il prolifico compositore Giorgio Battistelli, nato nel 1953, è abituato ai successi; e un successo è stata anche la prima esecuzione assoluta alla Scala dell’ultima sua opera, CO2.
Si tratta d’una tipica creazione «postmoderna», con ricorso al sincretismo non solo linguistico ma di diversi mezzi di comunicazione: quello elettronico, quello delle proiezioni, che s’affiancano alla partitura musicale eseguita dall’orchestra e dal coro della Scala e dai solisti di canto. E partitura accattivante sebbene non priva non solo di abilità ma anche di profondità compositiva; nella quale l’Autore ricorre a un linguaggio attuale ma senza dogmatismi di cosiddetta «Avanguardia.»
L’aspetto «postmoderno», e anche quello che mi piace meno, è nell’esserne il testo in inglese: certo per favorirne una circolazione internazionale; e nel suo riprodurre sic et simpliciter una realtà che si vuole condannare, quasi che il solo riprodurla significhi condanna: ma senza un processo di ricreazione artistica abbiamo un nudo fatto, una citazione che fa pensare alle scervellatezze di un Arbasino che vengono prese per letteratura. E mi riferisco a due lunghe scene, quella della sala d’attesa d’un aeroporto internazionale e quella di un supermercato. Il tema di CO2 è di viva attualità e di viva denuncia: il fatto che la fatale catena della società nella quale viviamo rende irreversibile il processo di distruzione del pianeta, a incominciare dall’ossigeno che viene bruciato: che l’evidenza scientifica mostri che l’uomo apporta la morte del pianeta non serve ad arrestare il processo; e già Sofocle ammonisce quos deus perdere vult amentat, «Iddio fa uscire di senno coloro che vuol distruggere». E vi sono pagine assai belle, che vanno da certe scene corali come la Creazione a una sorta di Cantata solistica nel grande stile che vede a protagonista Gea, la Terra (Jennifer Johnston, molto brava); una scena nell’Eden con Adamo, Eva e il Serpente (interpretato dalla voce di un contro-tenore, con sottile invenzione timbrica: l’ottimo David Dq Lee); fino a un finale corale che trovo sullo spartito Ricordi ma che non è stato eseguito nella evidentemente più sintetica versione adottata alla Scala.
Lo spettacolo è di grandissimo fascino: si deve al regista Robert Carsen e a Finn Ross, autore dei «video»; le suggestive coreografie sono di Marco Berriel; le scene di Paul Steinberg. Gli altri cantanti principali sono Anthony Michaels-Moore, Sean Pannikar e Pumeza Matshi Kiza; il coro diretto da Bruno Casoni apporta un alto contributo. Sul podio Cornelius Meister, uno di questi direttorini che oggi paiono prodotti in serie: più attento agli aspetti ritmici della partitura di Battistelli, la quale ha una estesa parte per percussioni, che capace di coglierne il melos.