Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  maggio 27 Mercoledì calendario

Fusioni tra i grandi gruppi, come per le banche: ecco la strategia di Marchionne per le auto. Dal rilancio di Detroit alla scelta delle alleanze. Obiettivo: 1,8 milioni di vetture nel 2018. Ma il processo caldeggiato dal manger italo-svizzero vede seduti al tavolo altri colleghi che, non si comprende, se per paura, per interessi di poltrona o per timore di insuccesso, oggi sembrano defilarsi

Nei giorni scorsi alcuni media americani tra cui il New York Times e Wall Street Journal, hanno dedicato ampio spazio alla richiesta di consolidamento tra i maggiori gruppi automobilistici, espressa più volte da Sergio Marchionne. È necessario ricordare che l’amministratore delegato di Fca, in un’intervista ad Automotive News, nel 2008, aveva dichiarato «La crisi economica in atto porterà a una forte concentrazione nel mercato, tanto che fra i costruttori di massa potrebbero sopravviverne solo sei, quelli con una produzione superiore ai cinque milioni e mezzo di auto l’anno». Un target che allora, come attualmente, è raggiunto, solamente da General Motors, Toyota, Ford, Volkswagen, Renault-Nissan e da Hyundai/Kia.
Una profezia, la sua, che si è trasformata in un autentico progetto, da concretizzare prima che una seconda turbolenza agiti il mondo industriale e finanziario. Marchionne ha salvato la Fiat, ha acquistato una Chrysler fallita, riportandola al terzo posto tra i costruttori americani, fondendola con la società italiana, creando una nuova entità, Fiat Chrysler Automobiles, divenuta il settimo gruppo globale, quotata alla Borsa di Wall Street, ha scorporato Ferrari, sta rilanciando il marchio Alfa Romeo e ha difeso l’occupazione degli stabilimenti del nostro Paese da un ridimensionamento che tutti davano per certo.
Oggi i produttori stranieri hanno compreso che in Italia si realizzano i prodotti con la migliore qualità (vedi Lamborghini che ha deciso, dopo aver richiesto al Governo un aiuto economico, mai cercato da Fca, di costruire il suo futuro suv a Sant’Agata Bolognese). Modelli premium, come le Maserati, le Jeep, le Fiat, le Alfa Romeo costruite a Melfi, a Mirafiori, a Modena, a Grugliasco, a Cassino. Morgan Stanley afferma che Sergio Marchionne ha un occhio al presente e uno al futuro. Un piano di consolidamento che non è basato solo sulla necessità o sull’opportunità di fare alleanze per spalmare i costi di ricerca e sviluppo su un maggior numero possibile di auto. Il piano che ha presentato nel maggio 2014 procede, le sue esternazioni non cambiano la realizzazione del programma e dei suoi obiettivi, Marchionne ha ben chiaro il futuro del gruppo che dirige. Jeep è il brand meglio posizionato al mondo nei prossimi 3-5 anni, gli analisti prevedono volumi che possono sfiorare il 1,8milioni di vendite, entro il 2018, viene considerato il business di maggior valore di Fca, con un Enterprise Value di circa 15 miliardi di euro e Ferrari può produrre più cassa di quanto ci si possa aspettare, potrebbe dare a Fca la possibilità di incrementare il flottante, in momenti successivi, a prezzi vantaggiosi prima dello spinoff previsto.
Nella sua proposta di alleanza vi è una visione che vorrebbe poter condividere con altri partner come già è avvenuto, per esempio, sia nel settore bancario che in quello aeronautico. Mbna, Summit Bancorp, NationsBank, Fleet Financial sono ora parte del colosso bancario Bank of America, tutte i quattro grandi istituti degli Stati Uniti sono in gran parte il prodotto di qualche «Mergers & Acquisitions». Citigroup, Wells Fargo, JPMorgan Chase e Bank of America erano, nel 1990, 35 società. American Airlines si è fusa con US Airways, Southwest con AirTran, Northwest con Delta e Continental con United. Dal 2013, questi quattro vettori rappresentano più del 75% del mercato, negli ultimi dieci anni il settore aereo, da molto frammentato si è trasformato in un vero oligopolio e, per la prima volta, dal 2007, hanno tutti dimostrato una ottima redditività.
Il processo caldeggiato da Sergio Marchionne vede seduti al tavolo altri colleghi che, non si comprende, se per paura, per interessi di poltrona o per timore di insuccesso, oggi sembrano defilarsi.