Il Sole 24 Ore, 25 maggio 2015
Il debutto del divorzio breve. Ecco quali sono le quattro strade per dirsi addio: dallo stop alla comunione dei beni fino alla negoziazione assistita. Sono 200mila i fascicoli di separazione pronti ad abbandonare il binario dei tre anni per utilizzare la corsia veloce dei sei mesi o di un anno
Dirsi addio diventa più facile e veloce. Entra in vigore domani la legge 55/2015 che accorcia il periodo di separazione necessario per chiedere il divorzio: dodici mesi se la divisione è giudiziale, sei quando i coniugi trovano un accordo. In entrambi i casi molto meno dei tre anni previsti fino ad oggi. Il termine breve (sei mesi) riguarda anche i giudizi partiti come contenziosi ma che poi si sono trasformati in congiunti.
Il taglio del “periodo di riflessione” prescinde dalla presenza dei figli e scatta anche se, al momento della presentazione della domanda di divorzio, la causa di separazione giudiziale è ancora in corso. Si applica cioè anche ai procedimenti pendenti.
La nuova legge non elimina quindi la fase di separazione, attraverso la quale bisogna sempre passare prima di poter sciogliere in via definitiva il matrimonio, ma la abbrevia drasticamente. Durante l’esame parlamentare, le Camere avevano preso in considerazione anche l’ipotesi del divorzio diretto che, però, è stata accantonata. Saltare il periodo di separazione resta quindi possibile solo in pochi e limitati casi, come ad esempio il cambiamento di sesso o le condanne di estrema gravità.
A non cambiare è anche la data da cui calcolare la decorrenza dei tempi di separazione che resta quella di presentazione dei coniugi di fronte al giudice per l’udienza presidenziale.
Comunione dei beni
La legge sul divorzio breve ha anticipato anche lo scioglimento della comunione dei beni (per chi l’ha scelta): da domani non avverrà più con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione personale ma scatterà dal momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati (nella giudiziale) o dalla sottoscrizione del processo verbale di separazione (nella consensuale).
L’alternativa ai tribunali
Per chi intende mettere la parola fine al proprio matrimonio, il tribunale non è l’unica possibilità. Nell’autunno 2014, il Dl 132 ha introdotto altri due percorsi che permettono di separarsi, divorziare e modificare gli accordi già presi al di fuori delle aule giudiziari: la negoziazione assistita e l’iter semplificato davanti all’ufficiale dello stato civile. Si tratta però di opzioni praticabili se c’è l’accordo fra i coniugi e costituiscono quindi un’alternativa solo alla via consensuale. La scelta dipende da diversi fattori, sia normativi che economici.
Nel caso in cui marito e moglie non riescano a trovare un’intesa, l’unica via percorribile resta invece quella giudiziale.
L’intesa di fronte al sindaco
L’iter semplificato di fronte al sindaco (o ad un suo delegato) non può essere seguito in presenza di figli minori o che necessitano tutela (portatori di handicap, incapaci o economicamente non autosufficienti) nati dalla coppia protagonista della divisione. La circolare del ministero dell’Interno del 6 aprile scorso ha chiarito che non sono invece di ostacolo i figli avuti da altre relazioni. L’intesa davanti al sindaco è esclusa anche in caso di trasferimenti patrimoniali ma può includere gli assegni mensili. Il vantaggio di quest’opzione sta soprattutto nella riduzione dei costi, visto che l’assistenza degli avvocati è facoltativa e i coniugi vi possono rinunciare.
La negoziazione assistita
La strada della negoziazione assistita è sempre utilizzabile e può quindi sostituire a tutti gli effetti i procedimenti di separazione e di divorzio consensuale. Sono necessari gli avvocati (uno per parte) ma ha il pregio della velocità, visto che l’intesa raggiunta con l’assistenza dei legali, dopo essere stata trasmessa al Pm (che, se non ci sono figli si limita a un controllo formale, mentre se i figli ci sono valuta la rispondenza dell’accordo ai loro interessi) viene inviata all’ufficiale di stato civile del Comune entro 10 giorni.
L’obiettivo di questi nuovi strumenti è alleggerire il lavoro dei tribunali che, per quanto riguarda le procedure consensuali, potrebbe ridursi fino a diventare residuale. Un lieve calo è già ravvisabile nei dati 2014.
Dall’altra parte, nonostante i numeri siano ancora modesti, nei primi mesi di quest’anno c’è stato un netto aumento delle procedure extragiudiziali (si vedano i dati riportati nella pagina a fianco).
I conti sono presto fatti. Gli ultimi dati del ministero della Giustizia dicono che nel 2013 sono stati iscritte 69mila cause di separazionc congiunta e l’anno dopo più di 66mila. Tutti procedimenti che al momento potrebbero aver maturato i sei mesi - a far data dall’udienza presidenziale - necessari per accedere al divorzio breve. Si tratterebbe, pertanto, di oltre 135mila fascicoli che potenzialmente potrebbero passare, a partire da domani, al rito accelerato.
Sono, ovviamente, stime, anche perché poi nella realtà occorre verificare quante di quelle cause abbiano già un titolo giuridico che attesti lo status di separazione, presupposto indispensabile per permettere alla coppia in crisi di divorziare per le vie brevi riconosciute dalla legge 55 del 2105. Ma per circostanze che possono ridimensionare i calcoli dei potenziali transiti, ce ne sono altre che possono invece contribuire a farli lievitare. Per esempio, va tenuto conto che nel conteggio si dovrebbe considerare anche una parte delle cause di separazione consensuale presentate nel 2012, ovvero quelle che non hanno ancora raggiunto il triennio necessario fino a oggi per chiedere il divorzio.
A questi dati vanno poi sommati quelli delle separazioni giudiziali in lista d’attesa. In questo caso si tratta di numeri un po’ più contenuti: considerando che nel 2013 e 2014 i procedimenti iscritti sono stati nell’ordine dei 32mila, quelli che possono aver maturato un anno - il tempo ora necessario per accedere al divorzio veloce - sono nell’ordine dei 45-50mila. Comunque una cifra di tutto rispetto, che unita a quella delle separazioni consensuali può scardinare i programmi anche degli uffici più preparati.
È, per esempio, il caso del tribunale di Milano. Gloria Servetti, presidente della sezione che si occupa del diritto di famiglia, non minimizza. «Questa riforma ci affosserà», afferma, riferendosi agli sforzi compiuti fino a oggi per ridurre a due mesi la fissazione della separazioni consensuali e a un mese quella dei divorzi congiunti. Risultati che rischiano di essere travolti dall’ondata dei procedimenti in corso e pronti a passare al divorzio breve: «Abbiamo calcolato che i 5mila fascicoli, tra separazioni consensuali e giudiziali, che trattiamo mediamente ogni anno potrebbero - spiega Servetti - anche triplicarsi o quadruplicarsi. E margini per aumentare la produttività non ce ne sono: gli organici sono già al massimo dello sforzo».
Stessa musica a Napoli, dove Umberto Antico, magistrato della prima sezione (quella che si occupa dei procedimenti di famiglia), paventa anche problemi di carattere procedurale: «Si potrà verificare il caso - afferma - di cause di separazione che chiedono di passare al divorzio breve mentre è ancora in corso la definizione delle questioni accessorie. In generale, dobbiamo prepararci ad anticipare due anni di procedimenti, il che significa un aumento di quasi l’80% dei circa 2.400 fascicoli che lavoriamo ogni anno. Si dovranno necessariamente riorganizzare ruoli e udienze».
A Roma, dove tra l’altro si è alle prese con l’avvicendamento del presidente della sezione famiglia, parlano di retroattività dannosa e si preparano a una valanga di fascicoli da iscrivere nei processi di divorzio.
Non resta che sperare nella negoziazione assistita, che potrebbe assorbire il carico delle separazioni consensuali. Il nuovo strumento ha debuttato a settembre e potrebbe (il condizionale è d’obbligo) essergli in parte attribuito il calo nel 2014 delle separazioni congiunte (-4%), contro un aumento di quelle giudiziali (+ 2%).
La diffusione della negoziazione procede, però, un po’ a rilento: a Genova si è passati dai 9 accordi extra-giudiziali di febbraio ai 28 di marzo, a Roma da 42 a 132. «Negli ultimi cinque mesi - aggiunge la presidente Servetti - alla procura di Milano (il Pm deve “vistare” l’intesa raggiunta dalle parti, ndr) sono arrivate 250 richieste di negoziazione. Gli avvocati continuano a preferire la strada giudiziale, anche se ora, di fronte agli inevitabili ritardi che le cause subiranno, forse si convinceranno a percorrere la strada degli accordi extra-giudiziali».