il Fatto Quotidiano, 25 maggio 2015
La grande tristezza della amazzoni senza Berlusconi. Così a Carfagna, Prestigiacomo, Brambilla o Biancofiore non resta che ricordare i grandi fasti del passato
La Grande Bruttezza dell’impero berlusconiano di Roma si è dissolta due anni fa, per il costo dei fagiolini pagati dagli amministratori dell’ex Cavaliere. Ottanta euro al chilo. Era autunno, d’ottobre, e la napoletana Francesca Pascale, la nuova e giovane fidanzata di Silvio Berlusconi, curiosò nella contabilità delle dispense. Non solo in quella, a dire il vero. Ma la scoperta che il magico carisma di B., seppur invecchiato, trasformava in oro persino le verdure fu un colpo letale per i fasti dell’anarchica corte di Palazzo Grazioli, la storica residenza del Condannato nella capitale. Pascale e la sua inseparabile amica Mariarosaria Rossi si convinsero ancora di più di stendere un cordone sanitario d’acciaio attorno alla mummia dell’Amato Leader e d’incanto finì un’epoca. Ministre ed ex ministre, deputate, semplici amazzoni, camerieri travestiti da parlamentari, questuanti e faccendieri, inquisiti e interdetti, smisero di andare la sera in via del Plebiscito, proprio di fronte a Palazzo Venezia, laddove Benito Mussolini seduceva donne su donne nell’ampio vano di un finestrone, nel suo studio. Il culto dionisiaco delle cene eleganti svanì e da allora fu difficile, se non impossibile contattare la Voce del Capo anche per telefono. Adesso, a quasi 79 anni, che compirà la prossima festa di san Michele arcangelo, il 29 settembre, Berlusconi consuma i suoi giorni in Brianza, a villa San Martino. La condanna, i servizi sociali, i tradimenti, l’età gli hanno reso Roma più lontana. Racconta una commensale autorevole di un tempo: “In realtà, il presidente ha sempre subìto Roma, non gli è mai piaciuta”.
Le due Mariarosarie
La spinta propulsiva della rivoluzione berlusconiana è sempre stata la gnocca. Nonostante pensatoi, fondazioni, intellettuali e professori amici, l’ex Cavaliere sostenne pure in pubblico che “il nome del partito che avrebbe maggiore successo è Forza Gnocca”. In origine fu la bionda Stefania Prestigiacomo, normanna di Siracusa. Era l’alba di Forza Italia, nel 1994, e l’acerba sicula fu presentata a corte da Marcello Dell’Utri e Gianfranco Miccichè. Prestigiacomo è stata la prima amazzone del berlusconismo e a distanza di vent’anni per rinvenire tracce mondane della sua presenza a Roma bisogna scorrere le foto della festa che Roberto D’Agostino ha organizzato per i tre lustri di Dagospia, il sito che ha inventato il Cafonal del potere. Un contrappasso clamoroso, impensabile fino a qualche anno fa. Il segno dei tempi che cambiano. La scena è renziana, non più berlusconiana, e le ex amazzoni possono frequentare anche il nemico. In sei legislature, compresa questa, l’ex Cavaliere ha cresciuto a tavola intere generazioni di deputate. E il primo, vero punto di rottura nella liturgia delle cene di Palazzo Grazioli avvenne con la folgorazione di B. per una soubrette di Salerno, Maria Rosaria Carfagna detta Mara. Curioso notare, come oggi, al fianco di Pascale e al vertice del nuovo cerchio magico, c’è un’altra Mariarosaria, che però il suo nome preferisce tenerselo lungo, in onore della Madonna del Rosario di Pompei.
Il complimento che cambiò tutto
L’era Carfagna è durata almeno un biennio, dal 2006 al 2008. Sempre a una cena, ma non a Palazzo Grazioli, B. fece un complimento a Carfagna che provocò la prima reazione giornalistica di sua moglie, Veronica Lario. Alla fine di gennaio del 2007, c’era la festa dei Telegatti a Roma e Berlusconi girava per i tavoli. Carfagna era seduta insieme a Michaela Biancofiore, amazzone di Bolzano, e B. le disse: “Come sei bella, se non fossi già sposato ti sposerei”. Sul mondo berlusconiano quella frase ebbe lo stesso effetto del pomo della discordia che scatenò la guerra di Troia. A Montecitorio cominciarono a circolare battute velenose sulle deputate di prima nomina. La chiamarono la banda delle quattro: Carfagna e Biancofiore, già citate, poi l’attrice Fiorella Ceccacci in arte Fiorella Rubino, già musa passeggera di Tinto Brass, e la professionista piemontese Laura Ravetto. La fresca ondata di amazzoni culminò nel 2008. Berlusconi vinse le elezioni politiche e Carfagna diventò ministra. La prediletta Mara tolse a Prestigiacomo la poltrona delle Pari Opportunità e lo scettro di Miss Governo. Fu promossa anche la lombarda Mariastella Gelmini, all’Istruzione. Alla Camera entrarono quattro nuove amazzoni: Nunzia De Girolamo, Annagrazia Calabria, Gabriella Giammanco, finanche Elvira Savino, ex coinquilina di Sabina Began, autonominatasi Ape Regina dell’harem di “Silvio”.
Prima del Berlusconi premier del 2008, apice delle amazzoni di governo, l’estate del 2007 logorò parecchio i nervi della guardia rosa dell’ex Cavaliere, tenuta a bada non senza difficoltà dall’allora portavoce Paolino Bonaiuti, in quanto selezionatore ufficiale delle ospitate televisive di azzurre e azzurri. Il berlusconismo venne infatti scosso dalla chioma salmonata di Michela Vittoria Brambilla. Luglio e agosto furono mesi tremendi. Il fenomeno di MVB esplose, pompato oltremisura dal Foglio di Giuliano Ferrara, che la impalmò addirittura come erede al trono. Un anno dopo, nel 2008, la bolla della rossa Brambilla era già scoppiata e lei dovette lottare per un posto di sottogoverno. Disputò un rovente derby con Prestigiacomo per il ministero dell’Ambiente ma perse. Ripiegò su una poltrona di sottosegretario al Turismo. E lì ebbe inizio una fase di stalking politico durata un anno. Brambilla si presentava a Palazzo Grazioli e chiedeva conto a B. delle sue promesse: “Ricordati che mi hai detto che farò la ministra”. Nella primavera del 2009, quando l’ex Cavaliere dovette fare i conti con la sua satiriasi e venne fuori il primo scandalo sessuale, quello di Noemi Letizia, Brambilla non ebbe comunque pietà. Nemmeno in quel frangente mollò la presa e dopo un tesissimo incontro a Palazzo Grazioli, B. vergò la promozione a ministro, sempre al Turismo.
Tutte nel castello
Gli scandali sessuali favorirono l’esercizio del complottismo di corte, mentre Gianfranco Fini, presidente della Camera, preparava la scissione di Fli. Cerchie o cerchi che fossero, erano più d’uno e non affatto magici. Denis Verdini prese sempre di più il controllo del partito e le ministre amazzoni furono attirate nell’orbita oscura, cioè invisibile, della “ditta” di Gianni Letta, premier ombra di B., e del suo braccio destro Luigi Bisignani, faccendiere pregiudicato. Quest’ultimo, al telefono, consigliava Prestigiacomo e Gelmini. Fu nell’estate del 2010 che manifestò la sua presenza preziosa Mariarosaria Rossi. Ormai Palazzo Grazioli era preda dei vari Tarantini e Lavitola, con troppi buchi nella rete dei controlli. Così Rossi prese in affitto il castello di Tor Crescenza, vicino a Roma. Le cene a Tor Crescenza servivano a fare il punto contro i traditori di Fini e soprattutto a sparlare del trio di ex ministre passato la fondazione Liberamente, creatura di Bisignani, e che includeva Carfagna oltre a Prestigiacomo e Gelmini. Non solo. Carfagna sondò il terreno per un eventuale trasloco con i finiani, grazie all’amicizia con Italo Bocchino, fedelissimo dell’allora presidente della Camera. Alessandra Mussolini, vajassa più che amazzone, la chiamò “Mara Hari”.
Le scenate a Verdini e Alfano
Negli ultimi cinque anni, le cene romane di Berlusconi sono state scandite dai tradimenti. Dopo quello di Fini nel 2010, c’è stato poi il voltafaccia di Angelino Alfano, il delfino senza quid oggi ministro dell’Interno e leader di Ncd. Com’è noto, la causa scatenante fu la condanna definitiva di B. per la frode fiscale diMediaset nell’estate del 2013. La successiva decadenza dal Senato diede una botta all’esecutivo di Enrico Letta, nato per la mancata vittoria di Pier Luigi Bersani alle politiche del 2013. Le settimane che precedettero la scissione alfaniana furono montagne russe di convulsioni e delusioni a Palazzo Grazioli. Le invettive dei moderati di “Angelino” erano rivolte soprattutto alla coppia formata da Daniela Santanchè, alias la Pitonessa, e dal suo compagno Sandro Sallusti, direttore del Giornale. Ma in questo frangente a rivendicare il suo primato di first lady e padrona di casa fu Francesca Pascale. Memorabili due sue scenate bipartisan. La prima contro Verdini, capo dei falchi anti-alfaniani. La seconda contro lo stesso “Angelino”. La prima: una sera Pascale tornò a Palazzo Grazioli con Nunzia De Girolamo e Barbara Saltamartini, dopo aver cenato in pizzeria. “Nunzia” e “Barbara” erano considerate alfaniane e Verdini era ancora da Berlusconi, nonostante l’ora tarda. “Denis” incrociò la comitiva e non si trattenne: “Francesca, porti qua proprio queste?”. “Francesca” ribadì il suo ruolo: “A casa mia porto chi voglio”. Ma Pascale sfogò il suo malanimo anche con Alfano, al termine dell’ennesimo pranzo. Gli disse in faccia che era “un ingrato, un infame che doveva vergognarsi”. Nella successiva era renziana del patto del Nazareno, il cerchio magico dei fagiolini è stato simboleggiato dallo scondinzolare di Dudù, barboncino bianco adesso in compagnia di Dudina. Qualcuno ha sospettato che Dudù fosse gay, ma Biancofiore un giorno portò Puggy, la sua cucciola di carlino, e giura di avergli visto un’erezione mentre si accoppiava. L’amazzone non è più mobile e Berlusconi non è più mobiliere.