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 2015  maggio 25 Lunedì calendario

Il giorno in cui Yves Saint Laurent scandalizzò Parigi: tra cappotti di volpe verde o soprabiti con bocche scintillanti e scarpe dal tacco compensato

Era il 29 gennaio 1971. Appuntamento al 30 bis, rue Spontini, a Parigi. Nei saloni dell’atelier di Yves Saint Laurent si aggirava una giovane donna dai capelli neri, raccolti in uno strano turbante di velluto rosso. Indossava un soprabito di volpe nero e le sue scarpe «sono simili a quelle delle passeggiatrici della rue Saint-Denis degli Anni 40», scrisse il giorno dopo il Figaro. Insomma, una prostituta. Ma chi era? Il mistero fu presto svelato: Paloma Picasso, la figlia del maestro. E da qualche mese inseparabile amica di Saint Laurent nelle sue scorribande notturne. Di lì a poco le clienti più fedeli alla maison, vedi la ricchissima Marie-Hélène de Rothschild, scoprirono scandalizzate che lo stile di Paloma non era altro che quello della nuova collezione del caro Yves.
Sì, la mitica collezione primavera-estate 1971, antesignana della moda retrò, del vintage di oggi. La Fondazione Pierre Bergé-Yves Saint Laurent dedica una mostra a quei vestiti ispirati alla Parigi degli Anni 40 e alla giornata in cui sfilarono dinanzi a giornalisti e acquirenti sbigottiti. Bergé, alter ego dello stilista, è un maniaco. Ha conservato tutto, non solo i capi, ma anche gli schizzi che portarono a quegli abiti: tra gli altri, il cappotto di volpe verde o quello con le bocche scintillanti riprodotte a ripetizione. Senza dimenticare le scarpe dal tacco compensato, l’accorgimento delle parigine per restare eleganti, malgrado la penuria della II guerra mondiale, gli anni dei nazisti padroni di Parigi. Quelle calzature avranno come deriva le zeppe degli Anni 70. È esposto tutto: anche i video dell’epoca con le mannequin che sfilano e fumano in maniera ostentata. O le foto in bianco e nero di un certo Helmut Newton, pure lui presente in rue Spontini.
«La stampa – ricorda Olivier Saillard, curatore della mostra, aperta fino al 19 luglio -, che considerava YSL l’erede legittimo della grande tradizione della haute couture francese, non gli perdonò quelle spalle squadrate, le gonne al ginocchio e il compensato nelle scarpe, ricordi di anni di privazioni che tante delle donne presenti avevano subito». Senza contare che molti la misero in politica, che in realtà allo stilista non importava nulla. «Saint Laurent, una triste occupazione», titolò Figaro. Lo accusarono di nostalgia. E di volgarità (quel trucco pesante). Criticarono il tocco kitsch (voluto). Alla fine del défilé Yves sbucò da dietro le quinte e, perfido come sapeva essere, precisò: «L’importante è che le ragazze giovani, che questa moda non l’hanno conosciuta, abbiano voglia di indossarla». Come a dire: non ho disegnato per voi «vecchie». E loro in effetti non comprarono. La collezione, detta «Libération» o «Quarante», fu un relativo flop commerciale, anche se la maison si riprese ampiamente con le rivisitazioni nel prêt-à-porter. E poi con quella sfilata YSL inventò il vintage. E segnò un’epoca.
A sbirciare le mannequin sfilare quel fatidico 29 gennaio 1971 c’era anche un giovane studente di Arti decorative, Marc Audibet, oggi stilista affermato. La considera «l’atto fondatore di Saint Laurent. La moda non è più l’arte delle forme e vocabolario accademico ma diventa un atto di scrittura: Yves racconta una storia con dei vestiti». È la sua risposta a un certo futurismo di Pierre Cardin o al classico costantemente rivisto di Coco Chanel, morta appena tre settimane prima della sfilata. La haute couture non era mai tornata indietro: lui osò farlo. Non solo: per la prima volta l’alta moda si ispirò allo street style. Paloma Picasso, che ancora non aveva ereditato dal padre, disponeva di pochi soldi per vestirsi. Andava al mercato delle pulci, dove aveva iniziato a comprare quegli strani turbanti e abiti melanconici Anni 40. Yves osservava. Quella sua strana collezione? Fu anche un po’ colpa di Paloma.