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 2015  maggio 25 Lunedì calendario

«Grazie Italia, pianto pomodori e guadagno 2,30 euro l’ora». Così il migrante diventa schiavo senza neanche saperlo

Il suo nome è Balde Alassane, è uno schiavo ma non lo sa. Ogni mattina alle 4.40 esce dal cancello del centro per richiedenti asilo di Foggia – sulla targa c’è scritto Centro Polifunzionale per immigrati – saluta le guardie in italiano, sorride, aspetta il suo uomo. L’uomo arriva su una vecchia Hyunday grigia. Si chiama Hassan, tunisino, è un caporale, vuole 5 euro a viaggio per portarlo al lavoro nei campi. Foggia, in realtà, dista 20 chilometri. Questa è la piana di Borgo Mezzanone: campagna, miseria, sole che picchia. Oggi ci sono 36 gradi alle 12. Balde Alassane sta finendo la giornata di lavoro. Otto ore. 
Il lavoro
In questo periodo della stagione, lui deve interrare piantine di pomodori. Ogni cassetta di polistirolo ne contiene 240. «Per ogni cassetta mi danno 1 euro», dice piegato sul campo. «Oggi, con questa, sono riuscito a fare 24 casse». Ti pagano subito? «No – risponde Balde Alassane – dopo quindici giorni, magari venti. Hassan prende i soldi per me dal padrone italiano». Ed ecco il conto economico della giornata di Balde Alassane: oggi ha messo nella terra 5760 piantine di pomodori, ha guadagnato 24 euro, meno i 5 dati ad Hassan. Decide di tornare al centro per richiedenti asilo a piedi, per risparmiare almeno i 5 euro del ritorno. E quindi, in una giornata in cui ha dato il massimo e bevuto soltanto una bottiglia d’acqua portata da lui, ha guadagnato 19 euro. La sua paga sarà molto alta: 2 euro e 30 centesimi all’ora. Non sempre va così bene. Ora, con le mani tagliate e incrostate di terra secca e gialla, accende il telefono cellulare, un Alcatel comprato al supermercato, probabilmente il telefono più economico in commercio. Ha i tasti con le lettere completamente cancellate, ma si può usare lo stesso. «Ho detto a un mio amico, che lavora in un’altra campagna, di dire ad Hassan di non passare a prendermi». 
Il problema
Il problema di Balde Alassane è che la sua storia è nota. Già scritta. Già denunciata. Caporali, sfruttamento, lavoro nero. E se continua a ripetersi ogni giorno nel 2015, per lui e moltissimi altri, persino davanti al centro di accoglienza presidiato dallo Stato italiano, sarà normale così. Lo pensa lui stesso. «Ho appena compiuto 21 anni. Sono nato in un villaggio vicino a Conakry, in Guinea. Mio padre si è ammalato tre anni fa. Faceva il contadino, ma ha dovuto smettere. È finito su un pous-pous». Cosa intendi, scusa? Balde Alassane, pieno di imbarazzo, fa il segno delle mani sulle ruote di una sedia a rotelle. «Devo aiutarlo io – dice – devo mandare dei soldi. Mi piace lavorare. È brutto non fare niente. È bello fare il contadino».
Il Cara di Foggia strabocca di ragazzi africani, pakistani e bengalesi. La capienza massima di 856 posti è regolarmente superata. L’appalto di gestione – 20 milioni 892 mila euro per tre anni – è al centro di un lunghissimo contenzioso giudiziario, con ricorsi e controricorsi al Tar. Ovviamente, è stato anche al centro degli interessi di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, i re di mafia Capitale. È uno dei pochi business sicuri in un territorio ultra depresso. Alle 13, un carabiniere molto gentile ci viene incontro: «Non potete fare fotografie senza autorizzazione. Per entrare serve il permesso della Prefettura». 
Decine di ragazzi stanno arrivando a piedi lungo la strada. Molti hanno lavorato nei campi come Balde Alassane, altri stringono in mano dei fogli. «Ce l’hanno con noi, odiano i nigeriani» grida un ragazzo esasperato. «Siamo tutti negativi! Ci hanno respinto la richiesta di asilo politico. Dicono che in Nigeria non c’è la guerra. Cosa ne sanno? Ce l’hanno con noi... Tutti negativi, ti rendi conto?». Questo, dei nigeriani che non riescono, in quanto tali, ad ottenere lo status di rifugiato politico, è un tema che ritorna ovunque. Presto diventerà un problema. «Dove andiamo? Cosa faremo quando ci sbatteranno fuori di qui?». Balde Alassane si schiaccia il cappellino da baseball sulla fronte e si incammina verso il cancello del centro, lui si ritiene molto fortunato: «La commissione non mi ha ancora risposto – dice – non so se sono positivo o negativo. Intanto lavoro. Riesco a mandare a casa ogni mese 100 euro. Grazie Italia!».