Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  maggio 25 Lunedì calendario

«Alzati e combatti, pappone». A cinquant’anni dal match che vide il gigante Muhammad Ali mandare a terra Sonny Liston con un corto gancio destro, un missile terra-aria. Lui si rialza, si riaffloscia e poi a fatica si rimette in piedi. Il combattimento riprende, ma per pochi secondi, finché l’arbitro Jersey Joe Walcott lo arresta dichiarando Ali vincitore

È finito sulle magliette e sui poster. Come il miliziano di Capa, come il Che Guevara di Korda. È una foto bellissima: in piedi c’è il futuro, a terra il passato. Il pugile brillante che trionfa su quello spietato. La farfalla che batte l’orso. L’inizio di un’epoca. Era il 25 maggio 1965. Malcom X era stato ucciso da tre mesi. Clay si era già convertito ai Musulmani Neri, ma nessuno ancora lo chiamava Ali. La scattò Neil Leifer, con una Rolleiflex, cinquanta anni fa, uno degli unici due fotografi con pellicola a colori, presenti alla serata. «Avevo il flash stroboscopico, la gente fumava e produceva l’effetto foschia».

Guardate i particolari: Ali ha il braccio destro piegato, che quasi tocca con il guantone rosso la spalla sinistra, il viso è pieno di rabbia, orgoglio e strafottenza. La bocca è aperta, sta urlando: alzati e combatti. Sotto di lui, c’è Liston, il nero primitivo e cattivo, quello che non sa impugnare penna e forchetta: è al tappeto, le mani sopra la testa, la gamba destra un po’ piegata. Sembra vecchio, vinto, sfatto. Lo è. In un lampo è uscito per sempre dalla storia. È un ko che fa rumore, ma che nessuno vede. Il pugno più invisibile della boxe. E il più studiato. Con la stessa attenzione che gli esperti dell’assassinio di Kennedy hanno dedicato
alle riprese di Zapruder.
Siamo a Lewinston, nel Maine, 41 mila abitanti, due hotel, un locale notturno, e per quell’occasione anche una spogliarellista. Posto depresso che non conosce la boxe, ma che si arrangia. Per portare di corsa gli articoli dal ring alle telescriventi vengono assunti i centometristi più veloci del college locale. Liston in allenamento salta la corda al suono di Railroad n.2 di Lionel Hampton e come al solito è minaccioso: «Convertirò Ali in un cadavere ». Ma in realtà Sonny ha perso la forma, beve whisky, sta in piedi tutta la notte. E in palestra non è imbattibile. È di malumore perché il match è stato posticipato per un’ernia inguinale di Ali. «Quando quell’idiota apre bocca, ci entra dentro un sacco d’aria. Per questo gli è venuta l’ernia». Ali, come al solito è più disponibile, e riceve la visita di un giovane campione olimpico. Si chiama Joe Frazier. Gli chiede: hai qualche consiglio da darmi? E Ali: «Sì. butta giù qualche chilo e diventa un peso leggero». A Lewiston quello che tutti chiamano ancora Clay viene accolto dai fischi, troppo buffone, il paese tifa per l’ex galeotto Sonny, brutto e cattivo. Scena da guardare al rallentatore: Liston si butta avanti con il sinistro, Ali tira indietro il mento e poi scaglia un breve destro di taglio, sulla tempia di Liston, ancora sbilanciato per il jab andato a vuoto. La testa di Sonny schizza di lato, il suo piede sinistro è sollevato, finisce a terra e si rotola sul dorso. Ali dovrebbe andare nell’angolo, invece resta in piedi proprio sopra Liston.
L’arbitro, l’ex campione Joe Walcott, va in confusione e inizia il conteggio in ritardo. Sonny cade a 1’44, si rialza a 1’56. I due pugili fanno per riprendere a combattere, ma Nat Fleischer, direttore della rivista The Ring, chiama l’arbitro: «L’incontro è finito, Liston è stato a terra venti secondi». Il pugno fantasma è stato velocissimo. E soprattutto invisibile. La gente rumoreggia, urla buffoni, grida alla pagliacciata. C’è chi richiede la cinetica, vuole poter misurare la forza di quel pugno e se c’è stato. Indaga anche l’Fbi: chi si è venduto e a chi? Per qualcuno i Musulmani Neri hanno costretto Liston alla sconfitta, per altri è stata la mafia di St. Louis a truccare l’incontro o forse solo Sonny che da quel momento percepirà una percentuale sulle future borse di Ali. I tecnici della boxe ammettono che anche l’invisibilità è cattiva e può fare male. Angelo Dundee, ex coach di Ali: «Il pugno che ti stende è quello che non vedi per niente». Geraldine Liston, la moglie, alla domanda se fosse stata una truffa: «Io non vidi neanche un soldo». Lo stesso Ali: «Sonny è troppo stupido e lento per combinare un imbroglio». Liston verrà trovato cadavere il 5 gennaio ‘71. Assassinato da una dose letale di eroina, hot shot. Da qualcuno che non lo voleva più tra i piedi. Il commento più gentile «Ha avuto quel che si meritava».
La foto di Leifer con il tempo viene finalmente capita. E sì perché sulla copertina di Sports Illustrated non mettono quella lì, ma un’altra, di George Silk. Solo molti anni dopo, capito l’errore, rimediano e la piazzano in prima pagina come uno dei più grandi scatti di sempre. Guardatela, perché veramente c’è tutto. E cinquant’anni dopo continua a parlare. Di orgoglio e pregiudizio. A terra c’è simbolicamente la boxe brutale che Ali cancellerà. Non solo quella di Liston, ma anche di Frazier, di Foreman, di Norton. In piedi c’è lui, che grida la sua voglia di prendersi il mondo. E tutto quello che ancora dovrà succedere. Altro che invisibile, si vede benissimo.