Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  maggio 25 Lunedì calendario

Come cambia la geografia del ciclismo. Se prima c’erano i toscani, i piemontesi e i triveneti, adesso trinfano gli uomini del Sud

«Berlato go!», recita un cartello sistemato in curva, poco dopo Thiene. Giacomo Berlato, da Malo, è l’eroe della Pedemontana vicentina. Uno striscione còlto rende omaggio a un suo compaesano illustre, lo scrittore Luigi Meneghello, parafrasandone un titolo: «Libera nos a Berlato». Non proprio un augurio lusinghiero, ma il gioco (di parole) vale la candela. A Thiene è sepolto Sante Carollo, altra gloria vicentina, il ciclista-muratore che nel 1949 sostituì in extremis Fiorenzo Magni «conquistando» la maglia nera a spese del Signore-della-Coda, il tortonese Luigi Malabrocca, fierissimo ultimo nei due Giri precedenti. Sempre restando nei paraggi, oggi due degni eredi di Carollo, e suoi corregionali, sono Marco Bandiera e Marco Coledan, che in questi giorni hanno avuto le loro belle soddisfazioni sulla strada con cartelli e striscioni osannanti. Al traguardo le loro guance umide di sudore non riceveranno mai il bacio delle miss (povere miss!). Eppure, quanti nomi di veneti e trentini, invece, sono iscritti nell’albo d’oro non solo nazionale. Altri tempi. La geografia del ciclismo italiano è sconvolta e rischia di intaccare una storia che sembrava ancorata nei soliti territori. Basta pensare al filo rosso toscano Bartali-Magni-Cipollini-Bettini, all’interminabile striscia triveneta Bottecchia-Moser-Simoni, alla linea lombarda Binda-Gimondi-Motta-Basso, a quella emiliana Baldini-Adorni-Pantani. Per non dire del glorioso duo piemontese Girardengo-Coppi. Una ciclo-topografia regionale declinata al passato prossimo e remoto. L’ultimo trionfo al Tour è arrivato da un messinese soprannominato lo Squalo dello Stretto: e d’accordo che ‘Nzino Nibali è maturato attorno a Pistoia, ma le prime montagne che ha conosciuto da ragazzino sono i Nebrodi, i Peloritani, le Madonie e sua maestà il Mongibello. Il solo che riesce a dar fastidio (si fa per dire) al Pistolero spagnolo è un ragazzo che pronuncia «pióggia» con la o chiusa, «atacatto» e «seguitto» con le doppie e le scempie dei participi del tutto scombinate («scombinatte»): un sardo di Santu Engiu, cioè San Gavino Monreale, nel Medio Campidano. E provate a guardare la classifica fino a ieri. In settima posizione troverete un passista-scalatore di Ragusa, Damiano Caruso, che tradisce la pronuncia siciliana anche quando dice frasi come: «Una top five sarebbe il massimo per me e per il mio team». Poco più sotto, nono, un palermitano nervosetto del quartiere Borgo Molara, Giovanni Visconti, nato a Torino da una madre napoletana e da un padre siculo emigrato al nord per lavoro. Le strade della Valdinievole sono le stesse in cui è venuto su Nibali, ma le radici di entrambi sono inequivocabilmente sicule. Come quelle di Paolo Tiralongo, l’avolese che da gregario-zio-«pissicologo» del giovane Fabbio ha vinto una tappa e non può lamentarsi della sua più che onorevole ventiquattresima posizione. «Terronia Dream Team, go!».