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 2015  maggio 25 Lunedì calendario

Viaggio nel mondo opaco delle authority: «Organismi che dovrebbero essere indipendenti dal potere politico, avendo il compito di operare a garanzia dei diritti dei cittadini. E che sono invece diventate prevalentemente centri di potere, talvolta fini a se stessi. È la politica che sceglie i vertici»

Per un esecutivo che professa la trasparenza, nonché il merito e le capacità professionali negli incarichi pubblici, è un errore da matita rossa. Sul quale riflettere. Una riflessione ancora più profonda tuttavia andrebbe fatta sul mondo opaco e indecifrabile delle cosiddette autorità indipendenti, di cui la Consob è capostipite. Organismi che dovrebbero essere indipendenti dal potere politico, avendo il compito di operare a garanzia dei diritti dei cittadini. E che sono invece diventate prevalentemente centri di potere, talvolta fini a se stessi. È la politica che sceglie i vertici, con meccanismi differenti da un’autorità all’altra, talvolta semplicemente sulla base di intuiti personali e non di procedure concorrenziali. Impossibile non avvertire il penetrante odore della lottizzazione pressoché ovunque. Perfino fra il personale. 
Sempre più spesso assistiamo alla trasmigrazione di commissari da un’authority all’altra, con l’effetto di creare negli anni un piccolo manipolo di professionisti delle autorità presunte indipendenti. Ciascuno, però, con un partito o una corrente di riferimento. Anche il ricorso ai politici trombati o non più candidabili si è intensificato. A destra come a sinistra: è sufficiente dare uno sguardo ai collegi di alcune autorità, come i Trasporti o la Privacy. Da una decina d’anni, poi, sono arrivati in massa anche i magistrati, prevalentemente del Tar e del Consiglio di Stato. Con il risultato di determinare un pericoloso conflitto d’interessi, considerando che la magistratura amministrativa è competente per giudicare i ricorsi contro le stesse authority. 
Non poteva poi mancare una insensata spartizione territoriale. Ogni città vuole la sua authority. Napoli ha rivendicato la sede dell’Agcom, che dunque ne ha anche una a Roma, con un inevitabile riflesso sui costi. Torino ha invece preteso l’autorità dei Trasporti, che perciò deve avere pure gli uffici di Roma. Mentre da molti anni Milano, che è la piazza finanziaria italiana, rivendica la sede della Consob: ma inutilmente, perché la sede principale della Commissione che controlla la Borsa continua a essere a Roma. Si trovano invece a Milano gli uffici dell’autorità per l’Energia, che però deve avere anche una sede a Roma, dove c’è lo sportello del consumatore, ma non nello stesso posto. 
La confusione delle procedure di nomina e la spregiudicatezza di certe decisioni (memorabile il caso di un ex deputato già commissario di un’ authority e multato dalla stessa authority, nominato nel collegio di una seconda authority : alla faccia di quella sanzione) ha avuto come conseguenza l’inevitabile abbassamento del livello tecnico dei collegi. Il tutto a discapito dei consumatori e degli utenti che invece dovrebbero essere tutelati da quegli organismi. Qualche caso? La giungla delle tariffe telefoniche è sempre più intricata, e in quel groviglio si nascondono sorprese di ogni tipo, che rasentano la truffa: la guerra dei prezzi spinge i gestori a inventare offerte sempre più allettanti ma piene di trabocchetti. La liberalizzazione dei servizi energetici presenta rischi micidiali per chi si avventura nel mare magno del mercato senza averne gli strumenti e le capacità. Le bollette dell’acqua, ora affidate alle competenze dell’autorità dell’Energia, hanno raggiunto livelli record dopo il referendum che ha vietato la privatizzazione della gestione dei servizi idrici. 
E si potrebbe continuare. Quanto all’utilità di certe authority, anche lì ci sarebbe molto da discutere. Per fortuna l’impalpabile autorità di Vigilanza dei contratti pubblici e l’ancora più impalpabile Civit hanno lasciato il passo all’autorità Anticorruzione. E su quella follia che avrebbe fatto nascere l’ authority dei Servizi postali (!) c’è stato per fortuna un ripensamento. Ma questo non ha impedito che l’autorità dei Trasporti venisse creata senza avere di fatto il potere di incidere su un capitolo decisivo come le tariffe autostradali: la legge istitutiva dice che non può aprire bocca sulle concessioni in essere. 
Una riflessione seria non potrebbe che sfociare in una riforma altrettanto seria. Quella che nessuno ha mai voluto fare: troppo comodo lasciare le cose come stanno. Nel 2001 il governo Berlusconi l’annunciò, salvo poi mettersi a pestare l’acqua nel mortaio per i successivi quattro anni. Nel 2006 toccò a Prodi proporre la riforma delle authority. Ma il suo governo non durò che un paio d’anni e la proposta finì nei cassetti. Poi più nulla. L’idea riaffiorò nel 2012 durante il governo di Mario Monti. Il quale si premurò subito di precisare: «La riforma delle authority non è nel mio programma». 
Da allora sono passati altri tre anni e mai come adesso sarebbe necessario stabilire regole uguali per tutte le autorità applicando meccanismi di nomina che garantiscano concreta indipendenza, introdurre merito reale e trasparenza effettiva per la designazione dei vertici, rivedere poteri e le competenze, stabilire contratti di lavoro con trattamenti economici umani e uniformi. Ma anche eliminare le strutture (e le sedi) inutili. Da un sistema finalmente serio ed efficiente avremmo soltanto da guadagnare tutti quanti.