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 2015  maggio 25 Lunedì calendario

«Se vinciamo come penso cambia anche il Pd». Così il premier Renzi si dice fiducioso sulle elezioni regionali. Punta al 6 a 1, «ma se fosse un 4-3 sarebbe comunque una vittoria per il Pd. Ma credo che andrà meglio». E già pensa al prossimo passo: cambiare lo Statuto interno del partito

 «Se vinciamo come penso cambia anche il Pd». Matteo Renzi insegue un sogno, quel 6 a 1 dal sapore tennistico che consegnerebbe al centrosinistra praticamente quasi tutta l’Italia delle Regioni, ad accezione di Lombardia e Veneto.
Ma il cappotto tennistico, se arrivasse, non significherebbe solo rafforzare il governo, aiutare la strada delle riforme, mettere probabilmente fine alle diatribe interne con la minoranza di Bersani, una delle conseguenze principali sarebbe un’accelerazione verso una mutazione politica del Partito democratico.
Si è discusso negli ultimi mesi di Partito della Nazione, definizione di cui Alfredo Reichlin possiede copyright, sulla quale il gruppo dirigente dei dem ha al momento una sorta di pudore a discutere esplicito, anche per non urtare sensibilità molteplici di un elettorato e di una base che già faticano a digerire la vocazione maggioritaria e il profilo governativo che Renzi ha impresso al Partito democratico.
Ma indubbiamente un passo ulteriore verso un cambiamento arriverebbe con un successo pieno alle Regionali, ed anche un 5 a 2 sarebbe un’ottimo risultato, visto che se «fosse un 4-3 sarebbe comunque una vittoria per il Pd. Ma credo che andrà meglio», ha detto ieri Renzi in un’intervista al Secolo XIX.
Il passo ulteriore sarebbe un riflessione politica per cambiare lo Statuto interno del Pd: Renzi ha già annunciato un seminario sul tema, ne ha discusso con i suoi dirigenti, l’obiettivo è introdurre regole di funzionamento del movimento più efficienti e più rapide, più adatte proprio ad un partito di governo che nel 2018 punterà a «governare da solo».
Cambiare lo Statuto significa mettere mano al funzionamento degli organi principali, alle regole con cui si prendono le decisioni, modificare la vita interna, centrale e periferica, del partito, introducendo schemi che facilitino l’adozione rapida di decisioni, anche con l’adesione generale di un principio di maggioranza che avrebbe indubbie ricadute sulla vita parlamentare.
È al momento è solo una riflessione, che scorre parallela al disegno di legge che il Pd porterà martedì prossimo in Parlamento, disegno che punta a dare regole diverse a tutti i partiti, introducendo la personalità giuridica dei soggetti, aprendo la vita dei partiti al controllo della magistratura, rendendoli in qualche modo più trasparenti e più moderni, almeno a giudizio dei firmatari della proposta.
Le modifiche allo Statuto del partito sarebbero cosa ulteriore, rafforzerebbe la vocazione maggioritaria e farebbero il paio con una legge elettorale che nel disegno politico di Renzi, nel 2018, potrebbe consegnare la responsabilità di governare il Paese al solo Pd. Modifiche che avrebbero una forte caratura politica, perché accompagnerebbero la mutazione già in corso: dalle polemiche con i magistrati allo scontro con i sindacati non sono pochi i tabù che Renzi ha in qualche modo già scalfito, rivolendosi implicitamente anche ad un altro elettorato.
Le dichiarazioni di Berlusconi, quell’invito a dimettersi se perderà le elezioni, almeno in questo quadro, vengono derubricate a poco più di una provocazione: «Consiglierei a Berlusconi maggiore prudenza e di guardare cosà farà lui, visto che dopo il voto Forza Italia rischia di diventare un’astrazione», gli risponde il vicesegretario Lorenzo Guerini. Mentre il ministro Maria Elena Boschi, a prescindere dal risultato che verrà, dice che «non influenzerà il futuro del governo».