Corriere della Sera, 22 maggio 2015
In Cina è l’ora dei «tuhao», i super-ricchi. Quelli che mangiano caviale (ma restano dei cafoni). Nel club di chi ha almeno un miliardo, sono censiti 354 cittadini della Repubblica popolare. Solo gli Stati Uniti ne contano di più: 492
Il primo miliardario (in dollari) nella storia della Cina è stato celebrato poco più di dieci anni fa. Oggi, nel club di chi ha «almeno» un miliardo, sono censiti 354 cittadini della Repubblica popolare (388 se si aggiungono i residenti a Hong Kong). Solo gli Stati Uniti ne contano di più: 492.
Le statistiche del denaro sono infinite e dettagliate: quanto ci vuole per essere catalogati tra i «super ricchi»? Gli esperti dicono che servono 200 milioni di dollari di capitale disponibile. In Cina in questa categoria rientrano ormai 60 mila persone e intorno a queste fortune circola una fauna che si è abituata all’eccesso.
La fotografa e autrice di documentari Lauren Greenfield ha studiato il fenomeno e ne ha tratto un fotoreportage illuminante per «The Story Institute». Nelle immagini sono documentate feste su yacht da mille e una notte, partite di polo su sabbia prelevata dalla spiaggia e trasportata a chilometri di distanza, scuole di bon ton dove si insegna a pronunciare correttamente i nomi dei brand stranieri del lusso, da Gucci a Louis Vuitton e Ferrari.
Ci sono signore che gustano il caviale dopo averlo depositato sul polso, perché pare che esalti il sapore; fumatori di sigari cubani che sembrano cannoni, istituti che preparano maggiordomi per questa nuova superclasse del Paese di Mao che aveva giurato di abolire le classi.
Insomma, un bel quadro di una nuova generazione dell’eccesso, che peraltro ultimamente cerca di ostentare un po’ meno (almeno in patria) per evitare di finire sotto la mannaia della campagna anti corruzione e sprechi lanciata dal presidente Xi Jinping.
Per chi si compiace di esibire la grande ricchezza i giovani cinesi hanno recuperato un vecchio nome: «tuhao».
Settant’anni fa il termine identificava i grandi proprietari terrieri, spazzati via dalla rivoluzione che nel 1949 ha fondato la Repubblica popolare. «Tu» significa terra e poi nell’evoluzione del linguaggio identifica anche il cafone, rozzo. «Hao» è lo splendore. Insomma, il «tuhao» oggi è uno splendido cafone, un arrivista, un arricchito, un parvenu dedito al consumismo.
La stampa del partito comunista ha osservato con dispiacere che il termine dilaga e purtroppo molti giovani della classe medio-alta lo usano con una certa soddisfazione, orgogliosi di essere «i nuovi tuhao». «L’emergere dei tuhao rivela la volgarità spirituale della società materialista», ha scritto il Quotidiano del popolo.
Il problema è che il «tuhao» è diventato un modello. Circola questa storiella: un giovane chiede consiglio a un maestro zen: «Sono ricco, ma infelice, che posso fare?». Il maestro zen risponde: «Dimmi che cos’è la ricchezza per te». Il giovane: «Ho diversi milioni in banca, tre appartamenti nel centro di Pechino, posso definirmi ricco, maestro».
Il saggio resta in silenzio e allunga una mano. Il giovane pensa di aver capito: «Maestro, mi stai indicando che per trovare la felicità debbo rinunciare ai miei beni?». Il maestro zen risponde: «No, tuhao, voglio stringerti la mano e diventare tuo amico».
Insomma, il «tuhao» non è amato, è anche disprezzato e dileggiato. Ma è invidiato e corteggiato. Una sintesi della Cina di oggi: comunista e tuhaoista.