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 2015  maggio 22 Venerdì calendario

La nuova legge anticorruzione è un risultato d’immagine, ma anche un po’ di sostanza per Renzi. Di certo un buon trofeo da esibire per un governo che rivendica di saper centrare obiettivi che altri hanno fallito. Restano però punti in sospeso e non risolti, dai mancati interventi sul rientro dei capitali a una più efficace definizione della corruzione tra privati

Una nuova legge anticorruzione è di certo un buon trofeo da esibire per un governo che rivendica di saper centrare obiettivi che altri hanno fallito. Nel caso specifico questo risultato – che è d’immagine, ma anche un po’ di sostanza – è stato reso possibile soprattutto dal cambio di contesto politico e di maggioranza che sostiene l’esecutivo: il fatto che la compagine guidata da Matteo Renzi non abbia nella propria maggioranza Forza Italia è il principale motivo che ha consentito il via libera alla riforma. Nel 2012 Monti e il suo ministro della Giustizia, Paola Severino, furono costretti a varare una legge monca, dove l’aspetto della repressione penale era stato necessariamente accantonato perché altrimenti il centro-destra ancora unito e guidato da Berlusconi non avrebbe fatto passare alcunché; dopo le elezioni del 2013 il governo di Enrico Letta nacque con la stessa maggioranza, che cambiò a metà strada con la scissione di Alfano, e in seguito, fino al cambio della leadership democratica, non ci fu il tempo di mettere in cantiere una riforma della riforma.
Poi a palazzo Chigi è arrivato Renzi, quasi in contemporanea con nuovi scandali che hanno riportato in prima pagina il malaffare, mazzette e regalie varie distribuite a man bassa per lucrare sui soldi pubblici, dall’Expo di Milano al Mose di Venezia; ne è venuta fuori la nomina del magistrato Raffaele Cantone alla rinnovata Autorità anticorruzione, e insieme la necessità – sottolineata fin da subito dallo stesso Cantone, il quale non aveva alcuna intenzione di fare la foglia di fico senza che nulla cambiasse nella sostanza – di varare norme più efficaci nel contrasto al fenomeno, prima ancora che più severe.
Così s’è messo mano alla nuova legge, costruita con modifiche ai progetti già in attesa (e fino a quel momento pressoché dimenticati, primo fra tutti quello firmato da Piero Grasso) che hanno portato al risultato finale. Positivo soprattutto perché, come ha sottolineato il Csm nel parere approvato col voto contrario dei soli «laici» del centrodestra, segna «una concreta inversione di tendenza, anche rispetto al recente passato». Il ministro della Giustizia può legittimamente rivendicare interventi che hanno dato un po’ di concretezza alla riforma. Per esempio con l’aumento delle pene, passate nel minimo da quattro a sei anni e nel massimo da otto a dieci, che porta con sé l’allungamento dei tempi di prescrizione, da sempre il principale ostacolo nelle indagini e nei processi per questo tipo di reati.
Con il contestuale congelamento del decorso dopo le condanne di primo e secondo grado, previsto dall’altra modifica proposta dal governo valida per tutti i procedimenti, l’asticella del tempo limite per arrivare a una condanna definitiva si alza a tal punto che il Nuovo centrodestra pretende subito un intervento che bilanci il tutto (come da accordi della scorsa settimana, senza i quali difficilmente l’anticorruzione avrebbe avuto il via libera prima delle elezioni di fine mese: a dimostrazione che la giustizia continua ad essere argomento che produce fibrillazioni, anche nella maggioranza mutata).
Altra novità significativa è la possibilità di concedere sconti di pena a corrotti e corruttori che decidono di collaborare alle indagini spezzando il legame di omertà che spesso impedisce di accertare il reato; era una delle richieste più pressanti di Cantone. Anche l’accesso al patteggiamento subordinato «al versamento anticipato e integrale del prezzo o del profitto del reato» è stato inserito da un apposito emendamento elaborato al ministero della Giustizia, ispirato – anche sul piano dell’immagine – alla volontà di chiedere almeno la «restituzione del maltolto» a chi evita il processo e pene più severe. La reintroduzione, di fatto, del falso in bilancio, pressoché cancellato con la riforma di quindici anni fa, è un’altra importante modifica, con il ritorno della perseguibilità d’ufficio e l’aumento delle pene.
Certo, restano punti in sospeso e non risolti, dai mancati interventi sul rientro dei capitali a una più efficace definizione della corruzione tra privati; si poteva e si potrebbe, in futuro, fare di più e meglio. Ma tenendo conto delle difficoltà del passato e di quelle presenti, è comunque un passo avanti.