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 2015  maggio 22 Venerdì calendario

Fotosegnalazioni, impronte digitali, richiesta d’asilo, espulsioni ma pochissimi rimpatri. Ecco cosa succede dopo gli sbarchi dei migranti

Quando scatta il decreto di espulsione? E nei confronti di chi?
Vengono espulsi gli stranieri che non hanno un regolare visto di ingresso o un permesso di soggiorno. Sono ritenuti clandestini gli stranieri entrati in Italia senza regolare visto d’ingresso. Mentre sono considerati irregolari gli stranieri che hanno perso i requisiti necessari per la permanenza sul territorio nazionale (per esempio il permesso di soggiorno scaduto e non rinnovato), di cui erano però in possesso all’ingresso in Italia. Il decreto di espulsione scatta quando si scopre che gli stranieri sono clandestini non richiedenti asilo: non manifestano cioè l’esigenza di una protezione internazionale.
In che modo vengono individuati e schedati i clandestini?
Quasi tutti arrivano sulle coste italiane viaggiando sui barconi, le cosiddette carrette del mare. Una volta soccorsi e trasferiti sui mezzi della Marina militare e Guardia Costiera, i clandestini vengono sottoposti a un primo screening sanitario. Il secondo li aspetta al momento dello sbarco, quando hanno inizio anche le operazioni di identificazione. Fotosegnalazioni e impronte digitali vengono spediti al presunto Paese d’origine dichiarato dal clandestino per poter avere dati certi sull’identità del migrante.
Come scatta il decreto di espulsione?
Attraverso il decreto firmato dal Prefetto. «A questo documento segue il decreto di trattenimento e ordine del Questore per il trasferimento nei Cie – spiega il responsabile dell’ufficio immigrazione della Questura di Roma, Fabrizio Mancini -. Perché per essere espulso il clandestino ha bisogno del passaporto o di un documento di identità equipollente. Nell’attesa di ottenerlo, viene sistemato nei «Centri identificazione espulsione». Il decreto di espulsione, quindi, scatta solo se si è ricostruita l’identità del clandestino, che altrimenti rimane dentro il Cie.
Quali sono i tempi di permanenza nei Cie?
La legge prevede che un immigrato debba rimanere all’interno del Cie fino a quando non si sia risalito alla sua identità. Un procedimento in realtà molto difficile, spesso impossibile. I termini di legge sono 90 giorni, dopo di che il clandestino, anche se non è in possesso del passaporto, deve uscire dal Cie. A questo punto gli viene intimato di abbandonare il territorio italiano entro 7 giorni. 
Il termine dell’abbandono del nostro Paese viene rispettato?
Raramente. Spesso i clandestini vengono, dopo qualche periodo, nuovamente scoperti nel nostro Paese senza documenti. Per loro scatta una seconda volta il ricovero nei Cie nella speranza che si possa finalmente procedere alla loro identificazione. Molti, invece, abbandonano l’Italia non per rimpatriare, ma per recarsi in altri Paesi dell’Unione europea come Svezia, Francia, Germania. 
Il decreto di espulsione viene dunque applicato poco?
Sì, rispetto al numero dei clandestini. «A Roma, per esempio – precisa ancora il dirigente dell’immigrazione Mancini – lo scorso anno abbiamo registrato circa 4500 immigrati di cui è stato effettivamente espulso, rimpatriato, solo il 25%».
Il maggiore ostacolo all’espulsione è la difficoltà a identificare i clandestini?
Proprio così. Con alcuni Paesi c’è collaborazione – Nigeria, Gabon, Tunisia, Egitto, Algeria – per ottenere la documentazione necessaria, ma se nessuno li riconosce i migranti non possono essere espulsi.