Il Messaggero, 6 maggio 2015
Statali, è l’ora del cambio generazionale. I dipendenti pubblici dovrebbero lasciare al massimo a 65 anni, ma potranno chiedere di lavorare fino ad aver raggiunto i 40 anni di contributi, sempre però fino al limite massimo dei 70 anni di età. Eccezion fatta per i medici
L’ultima tessera, in ordine di tempo, è la circolare firmata dal ministro della Funzione Pubblica Marianna Madia e pubblicata ieri in Gazzetta Ufficiale. Un provvedimento tecnico per spiegare in dettaglio la fine del trattenimento in servizio dei dipendenti pubblici, il meccanismo che permetteva agli statali di rimanere al lavoro anche se già avevano maturato i requisiti per la pensione. Il quadro d’insieme, il mosaico, è quello di una Pubblica amministrazione che prova a svecchiare i suoi ranghi partendo, appunto, dal divieto in capo alle amministrazioni di prorogare fino a 67 anni, come era possibile fino a ottobre dello scorso anno, il servizio dei propri dipendenti con i requisiti per la pensione. La circolare pubblicata ieri ricorda quali sono le eccezioni a questa regola generale. La prima è che uno statale può rimanere al lavoro (e al massimo fino a 70 anni) solo se, pur avendo maturato i requisiti per la pensione, ha meno di 20 anni di contributi. In questo caso, infatti, se mandato a casa non riceverebbe nessun assegno. Resta poi un’eccezione «a tempo» per i magistrati, che fino alla fine di quest’anno potranno rimanere in servizio anche se hanno già maturato il diritto al ritiro. E resta un’eccezione per i medici. Dovrebbero lasciare al massimo a 65 anni, ma potranno chiedere di lavorare fino ad aver raggiunto i 40 anni di contributi, sempre però fino al limite massimo dei 70 anni di età. Tolti questi casi, nessun dipendente può ormai essere più mantenuto al lavoro se ha i requisiti per lasciare il pubblico. Una misura che fa il paio con un’altra, regolata anch’essa da una circolare firmata dal ministro Madia qualche settimana fa, quella che prevede, in determinati casi, il pensionamento «obbligatorio» per gli statali.
LE ALTRE MISURE
Il contratto di lavoro può essere risolto unilateralmente dall’amministrazione, quando il dipendente ha raggiunto i requisiti per la pensione anticipata, ossia 42 anni e 6 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 6 mesi per le donne. La risoluzione può avvenire anche se il lavoratore ha meno di 62 anni e senza le penalizzazioni previste dalla legge Fornero (il taglio del 2% per ogni anno di anticipo). La possibilità di mandare in pensione senza penalizzazione i dipendenti sarà operativa fino alla fine del 2017, poi dall’anno successivo torneranno in vigore le norme della Fornero. Nella Pubblica amministrazione esiste anche un’altra possibilità, anche se fino ad oggi è stata utilizzata con il contagocce: quella del prepensionamento con le regole ante-Fornero. Una possibilità che è data alle amministrazioni che dichiarano esuberi. In questo caso possono pensionare i lavoratori in eccedenza che abbiano raggiunto i 65 anni e 3 mesi (con 20 di contributi) per l’uscita di vecchiaia, quelli con 40 anni di contributi a prescindere dall’età o ancora la quota 97, con un minimo di 62 anni e di età e di 35 di contributi. Questa misura è richiamata esplicitamente in un’altra circolare della Madia, quella per la gestione dei 20 mila esuberi delle Province che potrebbe costituire un vero banco di prova per i prepensionamenti. Per svecchiare i ranghi dell’amministrazione, nella delega sulla Pa ora in discussione alla Camera, è stato inserito un principio di «staffetta generazionale». Chi è vicino alla pensione potrà optare per il part time dando la possibilità di assumere un giovane. Ma chi sceglierà questa strada dovrà versarsi da solo i contributi previdenziali. Una clausola di salvaguardia per i conti pubblici che però rischia di rendere marginale questa scelta.