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 2015  maggio 06 Mercoledì calendario

«Cameron farà resistenza ma alla fine avremo probabilmente un governo guidato da Ed Miliband». Londra secondo Martin Wolf. La storica firma del Financial Times fa un’analisi alla vigilia del voto e sottolinea come il mondo del business, che sempre simpatizza per i conservatori, non veda di buon occhio l’uscita dall’Ue né tanto meno approvi le politiche contrarie all’immigrazione

Cameron o Miliband: chi vince? Perché si frammenta il sistema politico? E nella City quali sono gli umori della vigilia?
L’analisi di Martin Wolf del Financial Times, uno dei commentatori economici più autorevoli al mondo, ci aiuta a capire che cosa sta per accadere con le elezioni britanniche di domani.
«La Business Community non è omogenea. Le simpatie sono storicamente a favore dei conservatori, con l’eccezione dei governi di Tony Blair. Oggi Ed Miliband è percepito come un uomo di sinistra, non ostile ma distante. L’istinto porta dunque i grandi gruppi dell’industria e della finanza a essere più vicini a Cameron. Ma c’è un grosso punto interrogativo che è l’Europa. L’industria in particolare non vede di buon occhio il referendum e l’eventuale uscita dall’Unione. E non approva le politiche contrarie all’immigrazione adottate dai conservatori sulla spinta del populismo dello Ukip. L’entusiasmo per Cameron si è ridotto ed è ben lontano dal leale fiancheggiamento degli anni di Margaret Thatcher».
Quale lo scenario più probabile?
«Devo fidarmi di ciò che mi dicono amici e analisti. I risultati apriranno una fase di colloqui perché nessuno avrà la maggioranza. Cameron farà resistenza ma alla fine avremo probabilmente un governo guidato da Ed Miliband con l’appoggio esterno degli scozzesi su singole leggi. Non una coalizione. I laburisti alla Camera dei Comuni conquisteranno meno seggi dei conservatori ma avranno più probabilità di siglare intese con i partiti minori. Al 50-60 per cento torneranno a Downing Street. C’è una residua possibilità di un governo di minoranza dei tory appoggiati dai liberaldemocratici ma non ci sono i numeri. Infine, ma è molto difficile, nessun governo e nuove elezioni. In definitiva, credo che Miliband possa essere il prossimo primo ministro. Lo conosco bene, è un uomo ragionevole. E quando ho letto il suo programma mi sono sorpreso di quanto fosse conservatore. Altro che radicale».
Ma viene descritto come un leader debole.
«Come leader di partito non è affatto debole, ha in pugno i laburisti. La vera domanda è un’altra: sarà un primo ministro debole? Ciò che rende grande un capo di governo, e non solo di partito, è la sua capacità di essere protagonista sulla scena globale. Quale ruolo intende esercitare nei conflitti e nell’economia internazionali? La Thatcher e Blair, Major e persino Brown sono stati ottimi o grandi leader. Miliband non so».
E Cameron?
«In politica estera non mi pare che sia stato brillante. In politica interna, invece, ragionevolmente soddisfacente. È stato portato avanti un programma di riforme in un clima di stabilità».
L’economia è ripartita...
«La ripresa, in verità, è stata debole. I livelli occupazionali sono migliorati ma il Pil pro capite del nostro Paese è rimasto quello che era nel 2006, ciò significa che abbiamo avuto il periodo di stagnazione più lungo dal Diciannovesimo secolo in poi, a parte la grande depressione. Però, il governo qualche buon risultato lo ha conseguito».
Dal duopolio di laburisti e conservatori a un sistema frammentato con più partiti, situazione nuova per il Regno Unito: quale la ragione?
«Vi sono ragioni diverse. Alcune molto locali: la più importante è l’evoluzione della contesa politica in Scozia. Qui hanno inciso due fattori. Il primo: l’antipatia verso l’Inghilterra che ci riporta alla Thatcher. In quei tempi si è sviluppata la sensazione di distanza fra politica inglese e politica scozzese. Il secondo: la dominazione della Scozia da parte dei laburisti che hanno considerato la Scozia alla stregua di un feudo. Tutto ciò ha creato consenso per lo Scottish National Party».
È davvero possibile un’intesa fra Miliband e lo Scottish National Party?
«Se Miliband vuole andare a Downing Street deve pur trovare un accordo con altri partiti. Dunque...».
Il calo dei partiti tradizionali non è comunque circoscritto alla Scozia.
«È crollato il senso di appartenenza ideologica alle tribù. Negli anni Novanta, laburisti e conservatori si sono avvicinati. Molta gente sente che laburisti e conservatori rappresentano lo stesso modello di capitalismo e la stessa visione elitaria della politica. In questo quadro di irritazione hanno successo i partiti della protesta, a cominciare dallo Ukip».
Appare chiaro che ci sarà un governo di minoranza con appoggio esterno. I rischi per l’economia?
«Sulla carta il rischio maggiore riguarda le finanze pubbliche ma sinceramente non è un problema enorme. Passata la sbornia elettorale ci sarà una stretta fiscale per ridurre il deficit. Più sostenuta nella prima parte della legislatura, più moderata nella seconda. Un po’ più di tasse sui patrimoni e sui redditi alti con Miliband e un po’ più di tagli alla spesa con Cameron. A parole le differenze sembrano enormi. Ma nella realtà non lo sono».
Se vince Miliband niente referendum sull’Europa, se vince Cameron «Brexit» più vicina.
«Se vince Cameron è più vicino il referendum, non l’uscita dall’Europa. Un vero leader conosce la regola fondamentale della politica che è quella di sapere quando devi decidere qualcosa. Questo non è il momento di decidere sull’Europa. I britannici sono pragmatici e anche se dovesse esserci il referendum vincerebbe il sì all’Europa. Un 30 per cento di contrari c’è sempre ma è solo il 30 per cento. Cameron sta facendo male i suoi conti. E su questo si gioca il rapporto con la City e con l’industria».