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 2015  maggio 06 Mercoledì calendario

La Grecia spaventa i mercati. Lunedì prossimo ci sarà accordo con l’area euro e tutte le Borse europee sono calate e i rendimenti dei titoli del Tesoro di Roma sono schizzati verso l’alto. È un bollettino dal sapore di déjà vu. Esattamente come prima della crisi, questo Paese ha tutta l’aria di non riuscire a tenere il passo con il resto d’Europa neanche ora che la situazione migliora

Quando accadono disastri delle dimensioni di quello visto in Grecia in questi anni, non ci sono innocenti. Non lo sono i leader passati e presenti del Paese.
Che per opportunismo hanno continuato a fare credere ai cittadini che esistessero scorciatoie verso la prosperità. Non lo sono gli elettori, che hanno scelto di illudersi. E non lo sono i creditori europei o del Fondo monetario, che hanno affrontato la malattia cronica di un’intera nazione sulla base di idee astratte, ottusità e calcoli interessati, ignorando il bisogno evidente della Grecia di rifondare un sistema produttivo (quasi) da zero.
Il Paese andava attivamente ricostruito, non solo risanato. Il problema è che questa seconda missione è sempre stata molto più facile da spiegare agli elettori in Germania o altrove, Spagna e Italia incluse. Ora siamo al punto in cui forse è troppo tardi. Comunque vada a finire nelle prossime settimane, in una catastrofe del genere ormai non restano innocenti sul terreno ma solo vittime e danni collaterali. Quelli più pesanti ricadono sugli stessi greci, ma alcuni detriti stanno ricominciando ad arrivare anche al Paese dal debito pubblico più alto dopo quello di Atene. L’Italia non è al riparo. Come mostra la Commissione europea, è fra gli ultimi Paesi a scrollarsi di dosso i postumi della grande recessione e dunque fra i più esposti.
Ieri, alla notizia che probabilmente neanche lunedì prossimo ci sarà accordo fra la Grecia e l’area euro, tutte le Borse europee sono calate e i rendimenti dei titoli del Tesoro di Roma sono schizzati verso l’alto. Quelli sui Btp decennali erano all’1,53% in mattinata, sono saliti all’1,84% a fine pomeriggio. Dalla prima settimana di marzo, quando la Banca centrale europea ha iniziato i suoi interventi, i rendimenti sul debito italiano a lungo termine sono quasi raddoppiati. Fino a superare proprio ieri una soglia non solo simbolica: nel Documento di economia e finanza del mese scorso, il governo stimava che nel 2015 il costo del debito a lungo termine sarebbe stato dell’1,60% e questo livello così basso avrebbe aiutato a ridurre il deficit. Gli interessi sempre più bassi dovevano ridurre gli oneri per lo Stato. Il problema è che da ieri il finanziamento della Repubblica italiana sta già costando più di quanto il governo avesse previsto. Il Tesoro ha fondato il percorso dei conti pubblici su calcoli che rischiano di dimostrarsi di cartapesta, se da Atene dovesse arrivare una nuova ondata di instabilità.
Non che abbia senso fasciarsi la testa prima di averla rotta. In Grecia una netta maggioranza di cittadini rimane favorevole sia all’euro che a un compromesso con i creditori del Paese, e questa realtà prima o poi dovrà pur contare qualcosa. Quanto all’Italia, ieri la Commissione europea ha certificato l’uscita dalla recessione e la prospettiva di una crescita più veloce dall’anno prossimo.
Una seconda occhiata alle stime di Bruxelles però dovrebbe indurre alla cautela. Questo Paese va meglio rispetto a prima, eppure continua ad andare peggio del resto della zona euro. Malgrado la riforma del lavoro e gli sgravi ai contributi sui nuovi assunti, è il solo in Eurolandia per il quale la Commissione non vede nessuno calo della disoccupazione fra quest’anno e il prossimo. È fra i pochissimi di cui non migliorano le stime di crescita rispetto a qualche mese fa. Sul biennio 2015-2016, l’Italia vista da Bruxelles presenta l’espansione economica più limitata dopo quello di Cipro e della Finlandia. Persino la Grecia fa meglio, almeno nelle stime sul 2016. E anche Cipro l’anno prossimo dovrebbe crescere come l’Italia, benché appena un paio di anni fa avesse le banche chiuse e i controlli alle frontiere contro le fughe di capitale. Il confronto con la Spagna poi è impietoso: lì la velocità della ripresa è quasi quadrupla.
È un bollettino dal sapore di déjà vu. Esattamente come prima della crisi, questo Paese ha tutta l’aria di non riuscire a tenere il passo con il resto d’Europa neanche ora che la situazione migliora. Magari arriveranno sorprese positive: come è già successo altre volte è possibile che le stime di Bruxelles, simili a quelle dello stesso governo, alla fine si dimostrino sbagliate per eccesso di scetticismo. Ma niente come una previsione sul futuro rivela le riserve mentali di chi oggi guarda all’Italia dall’altra parte delle Alpi.