Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  maggio 05 Martedì calendario

Pensioni, Bruxelles tace ma ci guarda con preoccupazione perché «il buco va ripianato cercando risorse altrove». C’è evidentemente il rischio che la messa in pratica della sentenza provochi uno sforamento del tetto del 3% del Pil

La recente sentenza della Corte costituzionale, che ha ritenuto invalida la scelta dell’allora Governo Monti di abolire l’indicizzazione di alcune pensioni, ha bruscamente creato nuova incertezza sul futuro dei conti pubblici italiani, proprio mentre negli ultimi mesi l’immagine dell’Italia qui a Bruxelles si era rasserenata. La vicenda giunge mentre la Commissione europea sta finalizzando nuove e attese raccomandazioni-Paese, previste a metà mese.
Ufficialmente la Commissione europea ha preferito non commentare la sentenza della Corte costituzionale, rinviando qualsiasi presa di posizione a oggi, quando l’esecutivo comunitario pubblicherà nuove previsioni economiche per il 2015-2017. Privatamente, esponenti comunitari sottolineavano ieri che qualsiasi buco di bilancio va compensato. La decisione della Corte apre le porte a un ammanco tra i 5 e i 10 miliardi di euro, pari allo 0,3-0,6% del prodotto interno lordo.
«Da un punto di vista tecnico, la risposta della Commissione è chiara: nel caso bisogna ripianare il buco cercando risorse altrove. In una ottica politica, la partita è aperta», spiegava ieri un alto responsabile europeo. Il nodo è politico non solo perché il tema è delicato, ma perché la stessa Commissione rischia di essere in ambasce. Tradizionalmente, Bruxelles e Francoforte hanno sempre dato battaglia contro l’indicizzazione all’inflazione di pensioni e salari.
In questo senso, la sentenza pone la stessa Commissione in una posizione difficile. La decisione giudiziaria giunge peraltro in un contesto economico ancora molto incerto e mentre il margine di manovra del governo italiano sul fronte dei conti pubblici è limitato. Nel 2014, il deficit è stato pari al 3% del Pil. Per quest’anno sia Roma che Bruxelles prevedono un disavanzo del 2,6% del Pil, al netto dell’impatto della sentenza costituzionale (la nuova stima dell’esecutivo comunitario è attesa per oggi).
C’è evidentemente il rischio che la messa in pratica della sentenza provochi uno sforamento del tetto del 3% del Pil, con tutte le conseguenze in termini di procedura di deficit eccessivo, di valutazione degli investimenti cofinanziati dall’Unione, e di calcolo dell’aggiustamento minimo strutturale. Secondo le voci raccolte qui a Bruxelles – in attesa di conferma, anche alla luce della decisione costituzionale – l’esecutivo comunitario prevederebbe per l’anno prossimo un deficit del 2,0% del Pil.
Sempre nel 2016, Bruxelles stimerebbe una crescita dell’1,4% e un tasso di disoccupazione del 12,4% (rispetto all’1,3 e al 12,6% stimati in febbraio). «In generale l’impressione è che in Europa la ripresa di queste ultime settimane sia determinata da fattori congiunturali più che da elementi strutturali», spiega un responsabile europeo. Tornando all’andamento dei conti, Bruxelles ha deciso a inizio anno di non imporre ulteriori misure di riduzione del debito pubblico italiano in cambio di riforme economiche.
«Nella sostanza – continua il responsabile europeo – nelle sue prossime raccomandazioni-Paese la Commissione noterà in Italia uno scostamento tra la verbosità della classe politica e la realtà delle riforme economiche, ma dirà che il Paese sta andando nella giusta direzione. Non dovrebbe esserci un inasprimento dei toni». Nel mirino di Bruxelles saranno il mercato del lavoro, il sistema processuale e soprattutto il settore bancario, oberato da sofferenze e ormai diventato una urgente riforma strutturale a sé stante.