CorrierEconomia, 4 maggio 2015
La lunga marcia (miliardaria) di Xi Jinping. Con due nuove vie della seta: una terrestre, e una marina, il presidente cinese sta piano piano realizzando i suoi sogni e a chi teme l’espansionismo geopolitico, risponde con numeri da capogiro: ha detto che nei prossimi cinque anni la Cina importerà beni per 10mila miliardi di dollari; investirà all’estero 500 miliardi di dollari e manderà in giro per il mondo 500 milioni di turisti desiderosi di spendere la loro nuova ricchezza
«Nascondere la forza, guadagnare tempo», ripeteva Deng Xiaoping trent’anni fa illustrando la sua strategia all’inizio delle grandi aperture economiche. Ora la Cina è la seconda potenza del mondo e il presidente Xi Jinping non cela più la forza, ma parla di Sogno cinese e di un piano concreto di espansione politico-commerciale che ha battezzato «Una Cintura, Una Strada». Il piano, che si ispira all’antica Via della seta, sta prendendo forma. A colpi di investimenti multimiliardari.
La Cintura, terrestre, è un tracciato di strade, ferrovie ad alta velocità e per il trasporto delle merci, gasdotti e oleodotti, linee di comunicazione che dalla Cina attraverseranno l’Asia centrale, il Medio Oriente, l’Europa e la Russia. La Strada è marittima: parte dai grandi porti di Shanghai e Canton, fa rotta lungo il Mar Cinese meridionale, l’Oceano Indiano, una tappa in Kenya, il Mar Rosso, giunge nel Mediterraneo, risalendo fino a Venezia. Queste due nuove Vie della Seta, nei piani di Pechino, coinvolgeranno 65 Paesi e 4,4 miliardi di persone: il 63% della popolazione mondiale e il 30% del Pil globale.
Missione
Con l’Europa concentrata sulla crisi greca, gli Stati Uniti già entrati nel clima elettorale del 2016, la Russia indebolita dall’avventurismo di Putin in Ucraina, Xi ha cominciato a delineare il progetto nel 2013 con un viaggio nei vari Stan dell’ex impero sovietico, dal Turkmenistan, al Kazakhstan, al Kyrgyzstan, all’Uzbekistan, ricchi di minerali, gas e petrolio di cui la Repubblica popolare è il primo consumatore del mondo. In Uzbekistan, Xi ha voluto visitare Samarcanda, punto di passaggio mitico per le carovane che portavano merci preziose come seta, spezie e porcellana tra Est e Ovest partendo da Xi’an, la città cinese oggi famosa per l’Esercito di Terracotta. La missione cinese negli Stan ex sovietici ha naturalmente creato apprensione a Mosca, che vorrebbe tenere l’area sotto la sua sfera di influenza storica; e anche a Washington la mossa cinese verso Ovest è stata vista come una sfida e una reazione alla strategia «pivot to Asia» della Casa Bianca.
Ai sospetti di espansionismo geopolitico, Xi Jinping ha risposto con la promessa di dividendi per tutti, sciorinando numeri da capogiro: ha detto che nei prossimi cinque anni la Cina importerà beni per 10mila miliardi di dollari; investirà all’estero 500 miliardi di dollari e manderà in giro per il mondo 500 milioni di turisti desiderosi di spendere la loro nuova ricchezza.
A chi ha paragonato le Nuove Vie della Seta al Piano Marshall che nel secondo dopoguerra legò l’Occidente alla superpotenza americana, ha replicato il ministro degli Esteri Wang Yi: «La nostra non è un’iniziativa geopolitica di potenza, non è un nuovo Piano Marshall cinese: la nostra idea è più antica del piano americano perché affonda le radici nella storia della Via della Seta ed è più nuova perché è nell’era della globalizzazione, non in quella della Guerra Fredda». Benefici per tutti quindi: «shuang ying», «win win», come ripetono instancabili i dirigenti di Pechino.
Boicottaggio
Servono investimenti enormi per costituire la Cintura e la Strada: l’Asia ha bisogno di nuove infrastrutture per 8 trilioni di dollari. E la Cina subito ha lanciato l’Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib). L’istituto di credito, con quartier generale a Pechino, avrà 50 miliardi di dollari di capitale iniziale messi dalla Cina e altri 50, o forse 100, dagli altri Paesi partecipanti.
Gli americani ci hanno subito visto un tentativo di scardinare l’ordine finanziario stabilito a Bretton Woods nel 1944, un concorrente per la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale. Ma il fronte occidentale del boicottaggio sollecitato dagli Usa è stato rotto per prima dalla Gran Bretagna, subito seguita da Germania, Francia, Italia e poi da Corea del Sud, Australia: alla fine sono 57 i Paesi che hanno aderito, una dozzina europei. L’Italia dovrebbe partecipare con 150 milioni di euro. «I cinesi parlano di Venezia e Roma come terminali della Via della Seta, sanno che l’Italia ha un grande know how nel campo delle infrastrutture, ci dicono di essere interessati a collaborare», ha spiegato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, venuto la scorsa settimana a Pechino.
La Via marittima della Seta spiega perché la Cina ha investito miliardi per allargare il porto di Colombo nello Sri Lanka e per prendere il controllo del Pireo greco e guarda anche a scali italiani (come Taranto). Ma il progetto sta già correndo anche via terra: lo scorso dicembre a Madrid è arrivato il primo treno merci diretto dalla Cina. In 21 giorni ha percorso 13mila chilometri attraversando Kazakhstan, Russia, Bielorussia, Polonia, Germania, Francia: due volte più rapido del collegamento via mare e due volte meno costoso.
Nei giorni scorsi Xi è stato in Pakistan, dove ha promesso 46 miliardi di investimenti per costituire un corridoio dallo Xinjiang cinese al porto di Gwadar sul Mare Arabico. I fondi cinesi, concentrati nei prossimi cinque anni, andranno in infrastrutture e superano i 31 dati dagli Stati Uniti a Islamabad dal 2002: oltretutto i due terzi dei fondi americani sono finiti in sicurezza, vale a dire armi.