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 2015  maggio 04 Lunedì calendario

La switching economy, un mercato che vale 272 milioni. In Italia, negli ultimi cinque anni, il giro d’affari legato alla migrazione da un fornitore all’altro ha visto un aumento del 4 per cento

Inseguire l’offerta più conveniente, abbandonare il “vecchio” carrier o il fornitore di gas ed elettricità, cambiare marca per i prodotti di elettronica, banca, supermercato, pay tv, assicurazione, internet provider, prodotti alimentari o catena di hotel. Sono le molteplici sfaccettature della “switching economy”, fenomeno che per le aziende italiane nel 2014 ha raggiunto quota 272 miliardi.
Non una moda passeggera, ma una necessità per le famiglie che può nascere dall’insoddisfazione per il livello di servizio fornito, dalla qualità percepita o dalla necessità di ridurre i costi. Così anno dopo anno il fenomeno cresce. Nel nostro paese negli ultimi cinque anni il giro d’affari legato alla migrazione da un fornitore all’altro ha visto un aumento del 4 per cento. Nello stesso periodo in cui la capacità di spesa è calata del 3 per cento. La voglia di cambiare tocca praticamente tutti gli undici segmenti di mercato analizzati nello studio. È questa la fotografia del mercato italiano che emerge dall’ultima edizione del «Global consumer pulse research», realizzato da Accenture.
«Quando parliamo di 272 miliardi intendiamo il fatturato potenziale che i consumatori genererebbero nel passaggio da un fornitore all’altro – spiega Fabio De Angelis, Responsabile sales & customer services della multinazionale delle consulenza -. Per calcolarlo sono state incrociate l’attuale spesa totale dei clienti per i servizi con le dichiarazioni di propensione al cambiamento dei consumatori intervistati».
I consumatori italiani mostrano un’alta propensione a sostituire i propri provider di servizi qualora non siano soddisfatti del servizio offerto. Nell’ultimo anno il 62% ha cambiato almeno uno dei propri fornitori abituali perché convinto di aver ricevuto un servizio insoddisfacente. Lo switch è stato più frequente per i provider di telefonia fissa (22%) e mobile (23% con un aumento del 6% sull’anno precedente), i provider di gas ed energia elettrica (16%), la grande distribuzione (15%) e le banche (14%).
La migrazione è motivata soprattutto dalla scarsa qualità dell’esperienza complessiva (49%, +6% rispetto allo scorso anno), la perdita di fiducia nell’azienda (52%, +9% rispetto allo scorso anno), la carenza di soluzioni personalizzate (39%).
C’è poi l’impatto dell’universo social: rispetto a dieci anni fa oggi in un caso su due si sceglie in funzione delle esperienze altrui, valutando tra un ampio ventaglio di aziende e quasi due consumatori su tre sono più propensi a cambiare rispetto al passato. Molto spesso il tutto, in poco più di un caso su due, avviene in mobilità, con smartphone e tablet. Si interagisce per avere assistenza dal sito della società e dal tradizionale punto vendita: presso quest’ultimo si ottiene un maggior livello di soddisfazione, ma l’utilizzo del canale remoto cresce rapidamente.
«Il prezzo non è più l’unica variabile fondamentale nella scelta e i consumatori valutano il rapporto complessivo con i diversi fornitori a partire dai momenti pre e post vendita» aggiunge De Angelis. Un rapporto che passa dalle risorse umane, dal personale in grado di gestire e risolvere i problemi: una sfida cruciale per le aziende. «Una possibile soluzione è di puntare nell’affidabilità e nella capacità di fornire un’eccellente customer experience», consiglia il managing director.
In vetta alle maggiori cause d’insoddisfazione c’è l’avere avuto un bene o servizio diverso da quello chiesto, il confronto con personale che non coglie le necessità del cliente, il timore che l’azienda non sia in grado di usare i dati sensibili. Una serie di sfaccettature che si aggiungono agli scambi di commenti e giudizi su siti come Tripadvisor o Amazon, ricchi di valutazioni sui beni e servizi offerti.
Quello dell’economia del cambiamento è un fenomeno che coinvolge tutti i paesi, anche gli emergenti. Complessivamente nel 2014 ha rappresentato per i 33 paesi analizzati dallo studio di Accenture un fatturato potenziale di 5,6 trilioni di euro, con una crescita del 26% rispetto al 2010. Circa i due terzi sono concentrati nelle economie avanzate, ma gli emergenti fanno registrare il trend di crescita maggiore. Tra i paesi europei l’Italia si colloca al terzo posto dopo la Germania (il valore della spesa potenziale è maggiore e il paese ha risentito meno della recessione) e il Regno Unito e davanti a Francia e Spagna.