Il Fatto Quotidiano, 4 maggio 2015
La storia di Carmelina che da piccola a scuola non ci voleva andare e che da grande ha finito per fare l’insegnante. tra un cerchio e una gambetta, tra un’ape e un’ala, un racconto di Wanda Marasco
Il primo giorno di scuola Carmelina a scuola non ci voleva andare. Ha i pochi anni senza memoria, la madre semianalfabeta, il padre impiegato del Comune, che torna tardi la sera. Se dovesse scavare nella testa avrebbe da ricordare soltanto qualche abbaglio, i giochi a terra, gli alberi letargici che vede dal balcone.
Non ci voleva andare a scuola. Aveva frignato lungo il vico e puntato i piedi a terra. La madre disse che non doveva sporcare il colletto e il fiocco, l’avrebbero cacciata subito. L’idea della “cacciata” la fece ammutolire.
– Tieni, piglia il fazzoletto, e non lo perdere.
La madre aveva detto “fazzoletto”, ma dentro casa lo chiamavano “pezza pulita”. Ogni volta che qualcuno lo offriva a un altro, il gesto significava consolazione e riparo. Carmelina si chiese come mai la madre avesse cambiato lingua. A metà del vico, mentre si asciugava le lacrime della separazione, vide uno sbocco dello spirito: foglie arrossate, gatto pezzato, scaglie di vetro che maliavano il brillio tra i solchi dei basoli. Poi la madre – capa cotonata come le femmine della televisione, bocca sottile e grigi occhi da gufo – l’aveva lasciata all’imbocco dell’aula, nelle mani del maestro. Rimasta sola, un’immensa timidezza era calata sulla sua testa.
Adesso la tiene piegata nella penombra e sul bianco del foglio. Il maestro ha distribuito dei cartoncini con il disegno e la parola. “Ape” e “Ala” lo devono copiare per dieci volte. Le gemelle ricce hanno già cominciato. Lei è ferma a fissare il foglio. Che fine ha fatto la madre? Perché il maestro ha socchiuso le ante? Che deve fare, buttarsi sul bianco del foglio o nella penombra dello spazio?
– Devi copiare, non distrarti.
Il maestro si è alzato e l’ha raggiunta. Lei prende la penna, senza una vera direzione. La penna trema e si torce da sola. Il maestro appoggia la mano sulla sua. La guida. Ad arrotondare, a salire, scendere, rigirare, concludere. Carmelina è contenta di avere il maestro maschio, alto, con la testa un poco imbiancata. Ha la voce bassa e gentile. Non urla come la madre, le orche del palazzo, i Trasuolo sul vascio del vico.
– Gira, gira… Così. Metti una gambetta…
Le lettere sul foglio la guardano, tremano, volano, si abboccano. La loro storta rilegatura somiglia al filo contorto degli astici in fuga verso il mare, che lei vede dalle inferriate del balcone. Il maestro l’ha lasciata. La mano scorre da sola. In questa situazione la mano di Carmelina, strusciando sul foglio, fa un rumore di passi sul fogliame. “Ape” e “Ala” per dieci volte, dieci merlature di una seconda mente.
Quattro anni dopo: l’eclisse a scuola
L’hanno detto in televisione: oggi c’è l’eclisse e il mondo si farà scuro. Carmelina e i compagni sono eccitati. Il maestro ha chiesto al Direttore il permesso di portarli sull’astico per osservare. Ci sono Flora, la figlia della siringaia, Tetella, la bionda, Emilia la mongoloide, Cecilia, la figlia del barbiere, Mario il femminiello e i maschi dei Trasuolo.
I piccioni che dormivano nella colombaia hanno sentito arrivare la guagliunera. Fuggono attraverso un fenestriello. Nell’aria restano piume e onde di calore. Carmelina spalanca la bocca: l’astico e la cielata fanno un sipario aperto. Vede i piccioni appoiati sul parapetto e la vita che è diventata il loro batticuore in equilibrio. La guagliunera si maschera con le lenti di plastica arancione. Le bocche ridono e i sandali s’incollano alla pece liquefatta sotto il sole. Le facce diventano grigie e porose. I Trasuolo si sono messi in pompa magna: maschi strigliati a dovere, incravattati come alla Prima Comunione, femmine improfumate di essenza alla violetta. La guagliunera opacizzata si affaccia al parapetto e comincia a lapidare una banda di cani che passa.
Il maestro li tira per le orecchie. Nell’aria incupita è diventato pazzo, piglia a parlare “scientifico”, e nessuno lo capisce. Gli è venuto lo sghiribizzo di spiegare che cosa è l’eclisse. Ridono. Il maestro ingoia e resiste, ma dopo aver detto “corpo celeste” e “interposizione”, capisce che deve cambiare lingua.
– Venite ‘accà
– Chi, nuie?
– Me serveno tre guagliune.
– Ch’avimm ‘a fa’?’
– O sole, ‘a terra e ‘a luna.
Si offrono i Trasuolo che all’inizio sfottono il maestro. Poi si fanno manovrare senza fiatare. Umberto fa il sole, Nando la luna, Debora la terra. Il maestro li posiziona nell’allineamento perfetto e a ognuno, con un colpetto sulla spalla, imprime il movimento rotatorio.
Carmelina osserva e capisce. La guagliunera gira su se stessa. In sincrono ruotano nella Galassia i due crani rasati, le cravatte della Prima Comunione, i piedi a papera, le orecchie svasate tra le stelle e i pianeti. I Trasuolo fanno una giostra di lampare nel nebbioso, obbediscono al maestro e stanno uniti, perché alla guagliunera del vico è sempre piaciuto andare dietro ai pazzi.
A fine lezione il maestro ha posato una mano sulla spalla di Umberto e un’altra su quella di Ubaldo. Carmelina invidia i Trasuolo. Avrebbe voluto fare lei uno degli astri. Avrebbe obbedito al maestro senza sfotterlo, interpretando al meglio la manovra spettrale che aveva orientato l’universo in metamorfosi perpetua.
Vent’anni dopo: Carmelina è maestra
Prende la corriera ogni giorno e va al circolo Didattico di Acerra, Rione Gescal. Ci sono i bambini fermi nel tempo, uguali a quelli del vico dell’infanzia. Adesso è lei che deve insegnare a scrivere e a leggere.
A Natale, quando insieme alle colleghe attacca la neve finta alle finestre, come per miracolo i bambini cominciano a leggere le frasi intere. All’uscita li vede correre verso i campi inaciditi e i cubi delle case. Riprende la corriera e torna a casa: filari di peschi, mandorli, meli, cantieri, tubi, cemento demoniaco, curve fraudolente che menano alle rotatorie e lunghe schiere di impalcature. È la strage da cui i bambini andrebbero salvati. Apre il giornale sulla strada del ritorno. Legge il nome dell’ultimo ammazzato. Nome perduto e ritrovato. Aveva avuto il ruolo di palo e di trasportatore dell’esplosivo fino alla stazione di Bologna. Eroinomane. Inseguito dai killer lungo la salita del Moiariello. I compari avevano paura che parlasse. Lui picchiava alle porte per essere salvato. Nessuno gli aveva aperto, perché nessuno poteva aprirgli. Si chiamava Trasuolo, Ubaldo Trasuolo.
Durante l’eclisse recitava la parte della luna sopra l’astico della scuola, e il maestro lo faceva ruotare in sincrono con gli astri, in mezzo alla Galassia, senza che si perdesse.