La Stampa, 4 maggio 2015
E la Nike di Samotracia tornerà a volare. Il Louvre dedica una mostra alla storia della celebre statua alata tornata al suo posto dopo 18 mesi di restauri: con tre nuove piume
Colta nell’attimo in cui, alla fine del suo volo, con le ali ancora spiegate in un vortice di piume, sta per posare il piede sulla prua di una nave, la dea messaggera di vittoria premia il trionfatore di una battaglia navale. Solo l’effetto del vento permette ancora allo spesso mantello di reggere sul corpo, mentre i veli del chiton, incollati alla pelle, sottolineano assai più di quanto coprano le celebri forme dalla sensualità conturbante.
Dopo diciotto mesi di cure intensive la star del Louvre, alta più di tre metri, domina di nuovo la maestosa scalinata Daru, senza per questo avere svelato tutti i suoi segreti. Quale battaglia navale solennizzava? Chi era il geniale artista che l’aveva scolpita nel bianco marmo di Paros? E chi l’aveva commissionata? La storia della sua scoperta è avvincente, come racconta Marianne Hamiaux, commissario della mostra che il museo parigino dedica all’illustre Nike fino alla fine di giugno.
Nel 1863 Charles Champoiseau, vice console di Francia ad Andrinopole (oggi Edirne in Turchia) e appassionato di archeologia, esplora un santuario abbandonato a Samotracia, piccola isola del Nord del mare Egeo caduta nell’oblio in epoca tardo-antica, ma famosa in epoca ellenistica per la sua posizione strategica e scelta proprio per questo motivo, secondo Omero, dal dio Poseidone al fine di controllare dal monte più alto l’andamento della guerra di Troia. Dal cumulo di intriganti rovine spuntano rapidamente i primi elementi di marmo: prima un seno, poi più lontano il corpo di una gigantesca statua. A poca distanza, frammenti sparsi con pezzi di ali fanno sperare in un ritrovamento imminente della braccia e della testa, che non verranno mai alla luce. I blocchi rinvenuti (circa duecento) approdano a Parigi con enormi difficoltà, mentre rimarranno in loco «venti grossi frammenti assai bizzarri in marmo scuro», la cui funzione verrà chiarita da una missione archeologica austriaca dieci anni più tardi: componevano la base, a forma di prua, della scultura.
Imponente ex voto
Messa a confronto con monete coniate sotto il regno del sovrano macedone Demetrio Poliorcete (336-283 a.C.), che rappresentano una Vittoria posata sul davanti di una nave, la statua ritrova così la propria struttura originaria e svela il motivo della sua presenza in uno dei santuari più in auge del mondo greco a causa dei culti misterici che vi si praticavano: il santuario di Samotracia. La sua fama era pari a quella di Eleusi, con la differenza che qui l’iniziazione non richiedeva alcun requisito. Greci e non greci, affrancati e schiavi, donne di ogni condizione, tutti potevano approfittare del rituale che durava – a occhi bendati – un giorno e una notte, con libagioni, sacrifici e danze.
Le iscrizioni rinvenute nel tempio indicano che il perimetro sacro era dedicato ai Grandi Dei, ma la loro precisa identità costituisce un vero enigma, tanto più che era vietato pronunciarne il nome. Erodoto, uno dei pochi autori greci ad aver lasciato qualche indicazione sulla natura dei misteri celebrati, li denominava Cabiri. Plutarco ci racconta come Filippo di Macedonia, incontrando proprio qui la principessa epirota Olimpia, venuta come lui a ricevere l’iniziazione, se ne fosse innamorato. Da allora il luogo era diventato una sorta di santuario nazionale macedone, capace di assicurare incommensurabili benefici a chi aveva il coraggio di affrontare i rischi legati all’approdo periglioso sull’isola, battuta dai venti e schiaffeggiata dai flutti. Primi fra tanti vantaggi, la protezione dalle incognite del mare e la speranza di diventare, come scriveva Diodoro Siculo, più giusti e migliori in tutte le cose. Ex voto di ogni genere – vasi, armi, sculture, monumenti (la regina Arsinoe aveva dedicato la più grande rotonda del mondo greco, della quale il Louvre presenta una simulazione), ma anche modesti ami e conchiglie offerti dai pescatori – testimoniano la riconoscenza dei credenti per la grazia ricevuta.
Fra tutti gli ex voto, la Vittoria alata era certamente uno dei più ricchi, e il conflitto commemorato dovere essere un evento importante. «Potrebbe trattarsi», spiega il commissario dell’esposizione, «della battaglia navale di Side, vinta nel 190 a.C. dagli abitanti di Rodi, alleati di quelli di Pergamo e dei Romani, contro Antioco III. È senza dubbio tra il 220 e il 185 a.C. che si può ipotizzare la presenza a Samotracia del geniale autore dell’opera che in seguito, date le affinità stilistiche, si suppone aver contribuito a ispirare la realizzazione dei bassorilievi del Grande Altare di Pergamo».
La testa perduta
Dopo il restauro – un costo globale di quattro milioni di euro, finanziato in parte dal mecenatismo privato – la magnifica statua, smontata e studiata in ogni dettaglio, è ritornata al suo posto con l’aggiunta di tre nuove piume sull’ala sinistra. Da tempo si è rinunciato a trovarne la testa. Ma certo, se ciò avvenisse, la Vittoria che protegge da più di un secolo i visitatori del Louvre dall’alto della scalinata Daru non sarebbe più la stessa.