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 2015  maggio 04 Lunedì calendario

Miracolo a Milano. In ventimila i giovani che, armati di spazzole, raschietti e vernice, hanno ripulito la città. Dopo i black block sfila il corteo dell’orgoglio meneghino, fatto per lo più di adolescenti ma anche di qualche ottuagenario

Ieri, a Milano, è successo un piccolo miracolo. Il tempo ha fermato la sua corsa, le lancette sono tornate indietro. Sotto un cielo bigio la città si è curata da sola le sue ferite. Oltre 20 mila milanesi hanno sfilato per le vie devastate il primo maggio dai black bloc percorrendo a ritroso la marcia di distruzione degli incappucciati e cancellando le ultime tracce dell’odio e dell’insensatezza. Come armi spazzole, raschietti e vernice.
Un esercito misto e colorato, giovani, anziani, famiglie con bambini al seguito, da Milano, da fuori Milano, dal centro, dai quartieri popolari, da chi ha ripetuto quasi con le lacrime agli occhi: «Amo la mia città da morire, ci tengo tantissimo. Qui mi sono sposata e sono nati i miei due figli. Sono orgogliosa della mia città». Lei è Angela, 76 anni, accompagnata da suo marito che di primavere ne ha viste 81. Eppure sono qui. Con la mano dolorante. «Spero di riuscire a pulire». In ogni caso, da buona massaia, consiglia ai ragazzi come usare spugna e sbiancante.
«Nessuno tocchi Milano». Più che un hashtag è diventato un modo di vivere e intendere il senso di una comunità. C’è l’orgoglio, ma c’è anche tanta pedagogia. Come nella storia di Tommaso e Nicolas, cugini, rispettivamente 17 anni e 23 anni. Il primo ha partecipato al corteo del primo maggio, si è tenuto lontano dagli scontri, ma gli resta ancora qualche dubbio e più di una confusione: «Se attaccare le banche ha un senso come lotta al capitalismo, bruciare le auto è una violenza fine a se stessa. L’ho trovato gratuito e antipolitico». Per cacciare dalla testa le ultime «incertezze,» suo cugino più grande lo ha portato di peso alla manifestazione: «Gli ho detto presentati alle 15 in piazzale Cadorna così capirai cos’è un corteo pacifico. Ci è voluto un po’ per convincerlo, ma alla fine ce l’ho fatta». Sintesi hegeliana del giovane Tommaso: «È giusto esserci perché questa è la mia città».
Appuntamento a piazzale Cadorna alle 16, epicentro e conclusione degli scontri. Ci sono i mezzi dell’Amsa che distribuiscono guanti e raschietti, gli uomini del Nucleo di intervento rapido del Comune, quelli che subito dopo gli scontri hanno rimesso a posto pali divelti, parigine scassate e semafori rotti. Arriva il sindaco, Giuliano Pisapia. Suo e della giunta l’appello a scendere in piazza, dietro forte spinta del Pd milanese. È tutto improvvisato. Anche perché fino all’ultimo non era stato deciso se limitarsi a pulire i muri imbrattati o dare il via a un corteo per le strade della città. Poi il piazzale, sotto l’Ago e il Filo di Oldenburg, si gonfia a dismisura. Traffico semibloccato. Pisapia prende un megafono in pieno stile anni 70. Qualcuno tra la folla commenta: «Come ai bei tempi...». Il sindaco ringrazia per lo «scatto d’orgoglio». «Nessuno deve toccare Milano perché Milano si ribella, reagisce e dice no a ogni sopruso e ogni violenza». E svela che in mattinata ha ricevuto una telefonata. È il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «Il presidente mi ha telefonato come rappresentante della nostra comunità per dirci che è ammirato, entusiasta della risposta che Milano ha saputo dare a chi ha cercato di affrontare la nostra città con la violenza. Mi ha detto che dobbiamo essere orgogliosi della reazione avuta dalla città».
Circola la voce di un’improvvisata del premier Matteo Renzi, ieri sera ospite del nuovo spazio della Fondazione Prada. Non arriva ma dal palco della Festa del Pd a Bologna mette il cappello sull’iniziativa e ringrazia il Pd milanese: «Hanno voluto togliere i simboli perché hanno voluto far arrivare più gente possibile. Li ringrazio perché mentre quelli con il Rolex andavano a distruggere le vetrine loro si sono messi a pulirle per dire che quattro teppisti figli di papà non vinceranno. Siamo più forti». Qualcuno azzarda: il popolo arancione si sta trasformando nel popolo della Nazione.
Parte il serpentone intonando l’inno italiano. Nessun simbolo di partito, solo un tricolore e tante ramazze all’aria. Imbocca via Carducci. Il grosso del corteo in mezzo alla strada, sui lati si stende la fila dei «risanatori». C’è chi ha portato il Cif da casa, ma viene sconsigliato vivamente di usarlo. Sono tute bianche, azzurre e mascherine. L’opposto cromatico dei black bloc. Sfilano le persone e sfilano le storie: «Vengo da una delle zone più brutte di Milano, le case popolari di San Siro – dice Loredana – sono qui per dare una mano a chi vive in centro». La storia di Roberto, 53 anni ha del paradossale. «Abito in via degli Apuli, al Giambellino, come dirimpettaio avevo il centro sociale dove sono stati fermati i francesi. Ho sentito l’appello e sono qui per dire no ai disastri di venerdì». C’è chi è particolarmente arrabbiato, come Massimiliano Papetti, direttore centrale dei Lavori pubblici del Comune: «Dopo un anno e mezzo passato a lavorare per questa città oggi sono veramente triste...». La marcia prosegue. In via Carducci c’è un signore che inveisce contro il corteo: «Dove eravate quando venerdì qui c’erano le fiamme? Vergogna». L’invito è di scendere e pulire insieme agli altri. Si procede in De Amicis, corso di Porta Ticinese. Qualcuno intona Bella ciao alternandola a O mia bela Madunina. La fine è dove tutto è iniziato: piazza XXIV Maggio. Milano ha compiuto il suo rito di purificazione.