Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  maggio 01 Venerdì calendario

«Bersani? Come si permette di criticare quando è stato il primo a portare il partito alla catastrofe? Cosa vuole? Deve andare al parco con i pensionati. Non può ripresentarsi con la faccia vergine. Bersani, D’Alema e tutti gli altri, devono capire una cosa. Renzi ha vinto per colpa loro. Quel voto è stato soprattutto un plebiscito contro la loro incapacità. Ma non lo vogliono capi’». Parola di Staino

Di Renzi non mi piace quasi niente. Ho contrastato fin dall’inizio l’ingresso e la sua ascesa all’interno del Pd. Sono stato tra i primissimi a parlare con D’Alema e con i suoi a Firenze, avvertendoli del pericolo, esponendo dei dubbi, ponendo delle domande: ‘Ma questo Renzi? L’avete sentito? Ma vi rendete conto?’ Non si son resi conto di nulla”. Breve pausa. Sensibile innalzamento vocale: “Di nulla”. Sergio Staino, 75 anni in giugno, è furibondo. Ma la rabbia giovane investe i quasi coetanei: “D’Alema come sempre ha risposto con alterigia: ‘Ma Sergio? Ma che mi dici? Ma cosa te ne frega? Renzi tanto finisce’. E quello intanto cresceva. Li ha fregati come bambocci. E lo hanno fatto premier e segretario del partito. Del mio partito. Su tante cose, a partire dal Jobs Act, non sono d’accordo con lui. Ma l’idea di buttarlo giù per sostenere quelli che gli hanno permesso di emergere non mi sfiora”. Padre di Bobo e disegnatore premiato “Per aver introdotto l’umorismo, la malinconia e la riflessione nel Partito comunista”, Staino non ha più sorrisi né orizzonti da dipingere: “Più che a una seconda Bolognina, per il nostro mondo, questi giorni equivalgono al crollo del muro di Berlino”.
Perché Staino?
Perché certificano in modo inconfutabile che il gruppo dirigente che ci ha guidato – con più o meno responsabilità – da Berlinguer fino a oggi, ha perso completamente la capacità di elaborare un progetto di sinistra capace di parlare ai propri elettori, all’Europa e al mondo. Si sono rifiutati di aggiornare le analisi, non hanno idea di cosa sia oggi l’Italia né le enormi problematiche a cui dovremmo ricominciare a pensare a partire proprio dal concetto di sinistra. Ultimamente, tra partiti personalistici come Sel e sindacati in bilico tra confusione e massimalismo, le cose non vanno bene.
Renzi è di sinistra?
No, assolutamente. Di sinistra è Carlin Petrini, uno che non cadrebbe mai nella trappola di Marchionne, uno che sa che è necessario abbandonare il Pil come punto di riferimento del nostro sviluppo e che non bisogna andare a bombardare le barche in Libia, ma risolvere i problemi della fame e dell’emigrazione a monte. Nonostante questo, Renzi e il suo gruppo dirigente sono stati eletti legittimamente eletti nel Pd e nessuno, soprattutto chi si propone di farlo, ha il diritto di scalzarli senza ragioni che non siano quelle del puro pretesto.
Quindi ce l’ha con Renzi, ma non a costo di sostenere la minoranza.
Non è una questione personale. Renzi lo conosco da tempo, abbiamo un rapporto molto sincero, rispettoso e aperto, che non prevede il parlarsi male alle spalle come regola. Ma non c’è solo Renzi nel Pd. È un grande partito che parla a un vasto popolo già disorientato per i tanti recenti cambiamenti. Non lo si può distruggere urlando al fascismo o evocando lo spettro di Berlusconi come fa Bersani. Se proprio avverte un pericolo, scenda in piazza. Vediamo quanta gente lo segue.
Ha avuto rapporti strettissimi anche con la vecchia guardia del Pd.
Se la mettiamo sul piano degli affetti, la vicenda è molto dolorosa. Lacerante. Devastante. Parliamo di persone con cui c’erano amicizia e simpatia, ma quello che son costretto a dare è un giudizio politico senza appello. Sembra di avere di fronte un gruppo di ubriachi, di gente drogata, non più in sé. Non capisco cosa sia successo. In nessuna loro azione riconosco la tradizione, non dico del partito, ma di una vocazione politica che mi ha accompagnato in tutta la mia vita. La voglia di vedere la realtà. Di dire “ha vinto questa corrente, ragioniamoci”. La politica è un’altra cosa. Una cosa sacra. Bella. Significa analizzare la realtà, capirla, vedere come poterla modificare. Questi stanno dimenticando tutto.
Al centro delle critiche è finita la legge elettorale.
Io non sono in grado di valutare fino in fondo se questa legge elettorale sia la meno peggio e se si potesse fare di meglio, ma so che appellarsi alle preferenze per contrastarla, rinnega una storia decennale. Se me lo dice Civati, bene. Se me lo spiega Grillo, benissimo. Ma Bersani non può. Il Pci ha sempre considerato le preferenze come strumento utile a favorire correntismo e clientelismo. Ricordo quando Bersani vinse le primarie. Facce nuove, volti amici, speranze che lui tradì infilando i nominati calati dall’alto. In Toscana abbiamo avuto la peggior serie di burocrati del partito. Chi li ha rimessi? Lui. Come si permette di criticare quando è stato il primo a portare il partito alla catastrofe? Cosa vuole? Deve andare al parco con i pensionati. Non può ripresentarsi con la faccia vergine. Bersani, D’Alema e tutti gli altri, invece di indicare Letta – una cosa da non credere – come faro aggregante, devono capire una cosa. Renzi ha vinto per colpa loro. I compagni e la base non li volevano più. Il voto per Renzi è stato soprattutto un plebiscito contro la loro incapacità. Ma questo proprio non lo vogliono capì.