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 2015  maggio 01 Venerdì calendario

«Non me ne vado, ricostruirò una squadra vincente come dieci anni fa». Parola di Mancini. Il tecnico dell’Inter racconta la sua seconda esperienza neroazzurra, parla dei vivai, della violenza negli stadi e di Thohir

Il Mancio e i giovani d’oggi. E l’Inter, l’Italia violenta, la politica, il Papa, l’amore in tutte le sue forme. O i rimpianti per quei formidabili anni che ora sembrano una lontana età dell’oro: «Vorrei si tornasse all’Italia e al calcio degli anni ‘80. Stadi pienissimi, con dentro i migliori giocatori al mondo. E avevo 20 anni, per forza li rimpiango…».
Anche meno: su youtube c’è un filmato di un Roma-Bologna del novembre 1981, Mancini sedicenne che segna a Tancredi...
«E fu un gran gol, ricordo bene: pallonetto su assist di Franco Baldini... Però neppure all’epoca gli under 18 in serie A erano tanti: io, Bergomi, Galderisi e Monelli, basta».
Lei nei ragazzi crede sempre, altrimenti non avrebbe lanciato Gnoukouri, 18 anni, titolare nel derby… «Lo vedo allenarsi con la prima squadra a novembre, io appena arrivato: non mi piace. Due mesi dopo, al Viareggio, gioca una partita perfetta. Lo faccio tornare con noi. Mi piace, lo lancio. Può diventare un grande giocatore. I giovani sono il nostro futuro, aiutiamoli».
Però sono molto diversi da trent’anni fa.
«I calciatori giovani sono come i bambini di oggi: hanno tutto subito, forse è anche colpa nostra che li viziamo. Per noi, il regalo a Natale di un vero pallone, profumato di cuoio, era una conquista meravigliosa. E che euforia potersi allenare con la prima squadra, arrivare per tempo al campo, prepararsi, concentrarsi, emozionarsi. Io ero in A a 16 anni ma avevo un rimborso spese da 90mila lire al mese… Fare il calciatore è la cosa più bella al mondo».
E non è neanche il lavoro più duro che ci sia, no?
«Ma per favore… La giornata media dura al massimo 4 ore: due di allenamento, tutto compreso, più andare e tornare. Fai il lavoro che tutti i bambini sognano e ti pagano anche. Non si può avere il muso».
Che spogliatoio è quello dell’Inter?
«Bravi ragazzi, ottimi professionisti. Poi è chiaro, devono migliorare».
È una squadra un po’ adolescenziale, no?
«Sì. Dobbiamo crescere. Miglioramenti ne ho visti tanti. Non mi sono piaciuti solo a Empoli, piatti, brutti. Ma con tutti i nostri difetti la squadra c’è sempre stata. Abbiamo buttato punti in modo assurdo, per sfumature, per immaturità. Ora forse ci siamo, ma faremo altri
errori».
Anche lei ne ha commessi, vero?
«Certo. Quando un allenatore subentra, ha bisogno di tempo per conoscere i giocatori. Magari ne valuta alcuni in modo positivo e altri no, poi il campo dà altre risposte. Io ero molto positivo, ma lo ero stato troppo. Ci vuole tempo».
Cosa manca all’Inter del futuro?
«Giocatori che in campo capiscano al volo le situazioni. Gente che parli, che guidi e che abbia tecnica straordinaria. Tecnicamente, si sa che mi piacciono le ali veloci, che creano superiorità. Alla David Silva? Certo: nel mondo se ne trovano, come lui».
Thohir la accontenterà?
«È carico e positivo, sa che per costruire una squadra ci vuole tempo, si passa attraverso momenti difficili. Non è come noi italiani che pensiamo solo a vincere lo scudetto domani… Però l’obiettivo sarà quello di partire per vincere il campionato, tutti devono metterselo in testa. Dopo aver parlato con Thohir sono fiducioso: costruirà una squadra per vincere, nel tempo».
Come ha trovato la A?
«Campionato difficilissimo, come tutti: anche in Turchia è dura. Il livello è calato perché è salito in Inghilterra, in Spagna e in Germania, ma anche qui ci sono eccellenze. Tra quelli che non conoscevo, i migliori sono Felipe Anderson e Rugani: se un difensore dell’Empoli non viene mai ammonito e in più segna gol, vuol dire che è bravissimo. Magari sarà un altro Scirea. Poi, oltre a Tevez, sono grandi giocatori Pjanic, Pogba, Higuain, Callejon. Florenzi per la versatilità».
Ma il campionato è ostaggio dei violenti.
«Incredibile la scena di quel padre che dà i pugni al pullman della Juve col figlio vicino. Fossi il figlio penserei: ma cos’ha nel cervello mio padre? Ai miei tempi ne accadevano di fattacci, ma non così brutti. Andate allo stadio per tifare, altrimenti state a casa. Magari ti arrabbi per la sconfitta, e fischi, o fai la pañolada, ma perché insultare le persone? Perché le bombe carta? So che la domenica ci si sfoga per il lavoro che non c’è, per i problemi della vita, e che il calcio è un pretesto. Però allo stadio c’è anche un senso di impunità che non va bene. Bisogna applicare severamente le leggi. In Inghilterra accadde qualcosa tra tifosi dopo un derby di Manchester: il martedì la polizia ne aveva già messi dentro non so quanti, e fine del problema».
Non c’è anche un’eccessiva vicinanza tra i club e certi ultrà?
«Certo. I club non devono più essere conniventi. Contatti, ma non connivenza. Mantovani alla Samp ogni tanto faceva cene coi tifosi, e assunse come magazziniere un capo della curva, Bosotin, che a volte faceva qualche fesseria… Ma finiva lì. Mantovani diceva: “Se combinate casini allo stadio, il giorno dopo me ne vado e vi lascio come vi avevo trovati”. Risultato: ci furono 15 anni perfetti».
Dobbiamo riorganizzarci, anche politicamente. Lei è di sinistra, lo ammetta su… «Mio padre di sicuro: lavoratore e comunista, pensi che il suo sogno era quello di andare a vivere in Russia, ah ah… Credo che il problema non sia la sinistra o la destra, ma avere politici che pensino a migliorare il paese, che rimane il migliore al mondo per bellezza, tradizioni culturali, cibo, ingegno. Che facciano politica per passione e per missione, non per rubare. Se sono renziano? Renzi è giovane, e questo già depone a suo favore: i giovani sono il nostro futuro. Spero che faccia le cose per bene».
Lei crede molto nella famiglia.
«È tutto. Solo in famiglia ricevi consigli e appoggi disinteressanti, di puro amore. Fuori è più complicato: nel calcio, per dire, girano personaggi squallidi. La famiglia è l’unico rifugio».
Crede nella famiglia gay?
«Assolutamente nulla in contrario. L’ha detto anche il Papa, che è un fenomeno, uno di un’altra categoria: chi sono io per giudicare un gay?» E i gay nel calcio?
«Se li avessi incontrati, o se li incontrerò, non me ne importerebbe nulla. Se ce ne sono molti fuori dal calcio, ce ne saranno anche dentro, no? E poi sono fatti loro. Anche questo è un problema molto italiano: all’estero alcuni sportivi ne hanno parlato tranquillamente».
Comunque, per chiudere: Icardi rimane?
«Certo. È migliorato molto e ha ancora margini. All’inizio non mi piaceva il suo atteggiamento nel lavoro, ma è cambiato e si vede».
E Mancini rimane anche se arrivasse una telefonata da Madrid, o da Parigi?
«Ma no, ormai non arriva più… Mi mancano la Champions e la lotta per lo scudetto: vorrei ritrovarle qui, e riscoprire il piacere di costruire una squadra vincente, come accadde dieci anni fa, e vederla crescere giorno dopo giorno. Rimango qui, certo: ormai la fesseria l’ho fatta, ah ah».