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 2015  maggio 01 Venerdì calendario

Il Pd, tra famiglie spezzate, parricidi e maledizioni. Le peripezie della sinistra, dal sacrificio di Bersani a quello di Letta

Parricidi all’acqua di rose, fratricidi light, scannamenti presunti di figli e figliastri invocati come miti fondativi nel conflitto sull’Italicum.
Singolare coincidenza: più la politica perde idealità, più vivacchia nel presente, più si rimpicciolisce e involgarisce riducendosi a zuffa di tifoserie e più riemergono, per giunta in forma pretàporter, energie e figurazioni di uccisioni simboliche tra consanguinei e drammoni famigliari di ardua manegevolezza.
All’origine grosso modo c’è la rottamazione, nella sua variante pulp. Indecifrabili e al tempo stesso fin troppo chiare, le peripezie della composita minoranza dem paiono coagularsi attorno al sacrificio umano di Pier Luigi Bersani da parte di tanti suoi ipotetici figlioli e figliole da lui stesso a suo tempo entusiasticamente, ma incautamente favoriti. Mentre alcuni, come l’innocente Speranza, sarebbero stati da lui costretti a immolarsi.
Resta da vedere se l’ex segretario sia stato o possa in effetti considerarsi un padre, o un fratellone, o magari e più semplicemente uno dei tanti leader che per consolidata tradizione oligarchica pre-renziana la sinistra promuoveva, eleggeva, sosteneva e poi regolarmente abbatteva – senza che mai, però, tali personaggi finissero nel definitivo dimenticatoio (a parte il povero Occhetto).
Oltretutto Bersani, che possiede una sua solarità, ha sempre rifiutato questo approccio arcaico e sanguinolento designandolo qualche anno fa: «Roba da psicanalisi». E può anche esserlo, sennonché è sintomatico che proprio lui si trovò a rivendicare per il Pd «un presidio di esperienza», entità invero evanescente che tuttavia nel partito venne prontamente interpretata come un modo per tenersi buoni i nonnetti.
Certo con il senno di poi non diede il giusto peso a un Renzi della prima ora: «Bersani – disse con maligno candore – ha l’età di mio padre». Aggiungendo, se è per questo, che Berlusconi aveva quella di sua nonna. Ora, anche il Cavaliere ha avuto, ieri con Alfano e oggi con Fitto, i suoi bei trambusti generazionali. Così come nella Lega prima Maroni e poi Salvini hanno brutalmente fatto capire all’anziano e malandatissimo Bossi di non avere troppi scrupoli, nel caso fosse necessario toglierselo di torno.
La politica è infatti un gioco crudele e spesso proprio l’ingratitudine ne certifica gli sviluppi. In questo gli annali della Prima Repubblica non differiscono dal presente se non nel fatto che l’avvenuto parricidio, singolo e collettivo che fosse, era pubblicamente riconosciuto a babbo morto.
Vedi il Midas craxiano ai danni del professor De Martino; o la congiura con cui Occhetto e D’Alema si accordarono nel garage di Botteghe Oscure per mettere fine alla segretaria di Natta, che si trovava in un letto d’ospedale, senza troppo compulsarne la cartella clinica. Vedi anche le tante uccisioni – per lo più avvelenamenti, ma anche stilettate o finti incidenti – che si contarono nello scudo crociato: il giovane Bisaglia contro il suo scopritore Rumor, l’ardente De Mita contro Sullo, il sardonico Forlani versus Fanfani (ma senza vittoria definitiva).
Ecco, rispetto ad allora, nella Terza Repubblica il parricidio avviene piuttosto in streaming o addirittura in anticipo sui tempi dell’ordinario cannibalismo. Ciò non di meno, sulla scorta di una abbastanza famosa analisi di Umberto Saba, da qualche tempo diversi osservatori stanno valutando l’ipotesi che le più belluine dinamiche simboliche del potere in Italia più che sul parricidio siano in realtà basate sul fratricidio: Romolo e Remo, Ferruccio e Maramaldo, Mussolini e i socialisti, Badoglio e Graziani : «Gli italiani – si concludeva una delle “Scorciatoie” di Saba – vogliono darsi al padre, ed avere da lui, in cambio, il permesso di uccidere gli altri fratelli» In questo senso la divaricazione sarebbe fra una matrice greca, dominata dal conflitto verticale (Zeus, Edipo, Prodi) e un’altra orizzontale di derivazione ebraicosemita, caratterizzata da uno scontro primigenio che da Caino e Abele arriva fino a al ventennale duello tra D’Alema e Veltroni.
Ora, l’oscura faccenda storicoantropologica sembra piuttosto impegnativa da sciogliersi in quattro e quattr’otto; e anche senza scomodare ulteriori e feroci divinità tipo la Grande Madre Mediterranea, il paradigma pare onestamente spropositato rispetto al reticolo di vicissitudini che legano Bersani e la sua pretesa, cospicua progenie di onorevoli che, nel mollare lo smacchiatore di giaguari sull’Italicum, lo hanno dato in pasto al Rottamatore Supremo.
È quest’ultimo semmai, l’impetuoso e tracotante Renzi, che tale genere di analisi consentono forse di decifrare in modo meno convenzionale. Certo nessuno come lui si è guadagnato la fama di parricida; ma quando si è trattato di fare secco Enrico Letta, Renzi si è mostrato straordinario anche come fratello- coltello. Se poi si aggiunge che nell’inner circle del Giglio si comporta come un dio che atterra e suscita, tanto da aver già prodotto diverse vittime, beh, Matteuccio assomma un tris di competenze da omicida politico di consimili. Detta così, fa impressione. Ma nella post-politica, dove tutto è leggero, le parole sono anche un gioco, un sogno, un abbaglio, un curioso mistero.