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 2015  maggio 01 Venerdì calendario

Lacrime sprecate. «Non fu una norma proposta da me e non entrò nella riforma». Parla Elsa Fornero: «Fu dovuta alla situazione economica tragica del Paese. Arrivava in un momento in cui tutti piangevano per i giovani senza lavoro. É difficile vederla ora come incompatibile con la Costituzione»

La Repubblica

«Non riesco a capire. Bloccare le pensioni alte, o comunque non quelle più basse, in un momento di grave crisi finanziaria è una manovra contro la quale è difficile eccepire». Elsa Fornero, il ministro del welfare che nel governo Monti aveva avviato la riforma delle pensioni non condivide la sentenza della Corte Costituzionale di ieri secondo la quale è illegittimo il blocco dei trattamenti pensionistici al costo della vita per gli assegni superiori a tre volte il minimo Inps. Il decreto bocciato è lo stesso per cui la ministra Fornero si era commossa in aula, spiegando che pensava ai sacrifici fatti dai suoi genitori.
Professoressa Fornero, come commenta la sentenza che la commosse durante il suo governo?

«Non la commento, perché non la conosco nel dettaglio. Ma la prima osservazione è che non era certo una norma stabilita da me. Per una volta, il governo Monti era stato unanime nel ritenere che per ragioni di emergenza finanziaria fosse motivato stabilire quel blocco. Non era facile, e di fatti io stessa ne fui colpita, e chiesi che la norma non fosse estesa a chi percepiva 1000 euro al mese, o meno. Una richiesta personale fatta proprio alla luce della mia comprensione dei problemi».
Dunque la norma non faceva parte della riforma pensionistica?
«Assolutamente no. Non fu una norma proposta da me e non entrò nella riforma. Fu dovuta alla situazione economica tragica del Paese, da tutti conosciuta. Il governo impose il blocco per due anni. E l’indicizzazione delle pensioni più basse fu sbloccata grazie al mio intervento».
Ora la decisione della Consulta addebita fino a 5 miliardi allo Stato?
«È difficile pensare che quella norma fosse incostituzionale nelle circostanze di quel periodo. Non si trattava di una retribuzione differita a chi la percepiva, non corrispondeva ai contributi versati. E questa norma arrivava in un momento in cui tutti piangevano per i giovani senza lavoro. É difficile vederla ora come incompatibile con la Costituzione».
Da più parti ci si era rivolti alla Corte Costituzionale…
«Se i sindacati difendono l’indicizzazione delle pensioni alte, è un fatto paradossale, che fa pensare che il mondo va alla rovescia. E non capisco neppure perché sollevare ora, quando l’intera manovra era digerita, un dubbio di incostituzionalità».
Vera Schiavazzi

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il Fatto Quotidiano

Di tutte le cose che mi hanno addossato… dai, almeno questa…”. Ieri il telefono di Elsa Fornero ha squillato a ripetizione. Tutti cercavano l’ex ministro montiano che pianse in diretta, annunciando la misura cassata ieri dalla Consulta. Lei, docente di Economia politica all’università di Torino, non ha voglia di commentare la sentenza, ma non ci sta neanche a passare per l’unica colpevole. “Vorrei si ristabilisse un minimo di verità”, spiega ora.
Quale?

Quella norma non fu una scelta mia, ma del governo al completo.
Però è toccato a lei annunciarla. Tutti ricordano la voce rotta e le lacrime al momento di pronunciare la parola “sacrifici”.

Sì. È toccato a me. Quando uno fa parte di un governo succede anche che ti dicano “questa cosa va fatta”. Io, però, ci credevo davvero. La verità è che sono stata un po’ ingenua, ma devo dire che mi hanno anche lasciata da sola.
La Consulta ha bocciato quei “sacrifici” chiesti ai pensionati.

Nessuno ha mai sottolineato una cosa: all’inizio il blocco dell’indicizzazione doveva valere per tutti gli assegni, anche quelli minimi. Io mi sono battuta per salvare quelli più bassi, ottenendo l’esonero per i trattamenti fino a tre volte il minimo (1.402 euro, ndr). Al governo volevano bloccarle tutte. Però le dico anche un’altra cosa.
Prego.

Io piansi perché sapevo che si potevano salvare anche altri assegni, diciamo quelli fino a 1.800 euro, massimo 2.500 euro. Oltre questa soglia sono privilegi che si potevano intaccare.
Si tratta però di cifre lorde, cioè non ancora tassate.

Mi creda, oltre quell’importo si potevano chiedere sacrifici. Le pensioni sopra quelle cifre non corrispondono ai contributi versati, sono un regalo – garantito dal vecchio sistema retributivo – pagato dalla collettività, cioè da tutti noi.
La Consulta non la pensa così. La sentenza parla di “diritti costituzionalmente garantiti”, e che per toccarli andavano “ben evidenziate le esigenze finanziarie”. I “sacrifici” andavano giustificati.

Quelle erano norme inserite in un decreto che si chiamava “Salva Italia”, cos’altro serviva di più per giustificare i sacrifici? Si può credere o meno che l’Italia fosse in condizione di dover essere salvata, ma questo è il dato di fatto.
Lei ci credeva davvero?

Le assicuro che in quel momento ne eravamo fortemente persuasi. Forse, ripeto, sono stata un po’ ingenua, ma ci credevo.
Perché quei sacrifici non sono stati compensati da misure di equità?

Lo riconosco, è vero. Le resistenze sono state moltissime. Quando mettemmo il prelievo sulle pensioni d’oro, i parlamentari si ribellarono minacciando di non votarlo. Quando chiedemmo ai Presidenti di Regione di applicare una stretta ai vitalizi ci mandarono una lettera per minacciarono il finimondo, dissero che eravamo un “governo giacobino”.
Resistenze c’erano anche all’interno del governo “dei tecnici”, però.

Dico solo che se ci fossimo riusciti, avrebbero comunque odiato la riforma delle pensioni, ma l’avrebbero forse odiata un po’ meno. Me compresa. Ma comunque quella norma non faceva parte della mia riforma.

Carlo di Foggia