Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  aprile 28 Martedì calendario

Versilia, il decalogo del miliardario dell’Est. Tra russi cafoni e pensionati in amore

I russi, veri cafoni del benessere, sono giunti qualche estate fa. Molto prima della tempesta di vento, un uragano pazzesco che a marzo scorso ha fatto salire al cielo, come matite impazzite, i pini marittimi oramai spiumati del Forte. Venendo da nord, con il ricordo dei torrenti esondati lungo i fianchi delle Apuane, e prima ancora i disastri liguri, l’impressione è che il meteo si sia accanito con uguale impegno. Ha sbrindellato le case dei poveri, ma ha fatto fuori anche la cinta di verde dentro cui si rinchiudeva l’alta società italiana.
Forte dei Marmi è oggi un cimitero di pini, e le motoseghe sono state chiamate a una impressionante tumulazione ambientale che sta durando settimane. Cataste di tronchi vengono allineati nello slargo adiacente a quella che fu la pineta più rigogliosa e ben tenuta d’Italia.
Vigilantes ancora dirigono il traffico di camioncini che trasferiscono in falegnameria le tonnellate di legno oramai affettato. Del resto, Forte dei Marmi ha con i pini lo stesso rapporto che Linus ha con la sua coperta. I pini rendevano infrangibile e chiusa allo sguardo la borghesia vacanziera, potente, affluente e riservata, nascosta dietro le paratie perimetrali di verde naturale, dentro ville dai lineamenti puliti, dall’architettura mai eccessiva, realizzate sull’orlo del centro storico dove in estate scintillano i negozi del lusso in trasferta da Milano, Firenze o Roma.
L’apprensione di Moratti, non è condivisa da tutti
“I pini, devo andare a vedere i pini”, ha detto Massimo Moratti il giorno successivo alla strage. E si è diretto a Forte dei Marmi, dove la famiglia possiede la magnifica villa Maria immersa in ettari di verde, come se stesse andando a un funerale di un familiare. Un pino aveva divelto il cancello di casa, perforando la cinta dentro cui lo teneva ristretto il suo proprietario, un riccone russo di nome Rapoport. E chissà quanti pini avranno sepolto Giorgio Armani o Ermanno Scervino, e quanti alti avranno danneggiato la villa di Buffon, il portierone della Juve, o la dimora intestata alla grandissima Mina. E quali sono i danni patiti da Andrea Bocelli che ha acquistato un hotel sul lungomare trasformandolo in residenza completa dei bisogni correlati all’altezza della propria virtù (uno stratosferico studio di registrazione, intere ali del palazzo destinate agli amici).
È vero quel che ha scritto il Tirreno: Forte dei Marmi senza i pini è come il mare senza sale. Ma è anche vero quel che confessa Antonio, titolare del “Marguttino”, un bar in linea con i portafogli dei clienti che riversano ai tavoli un ricordo quotidiano che l’euro ha fatto piangere tanta gente ma ridere tanta altra. “I pini rappresentano la nostra identità, ma sono anche un bel fastidio e un bel costo per conservarli, pulire periodicamente le radici che sono profonde e fanno danni. Così l’uragano è stato un ottimo motivo per molti signori che qui villeggiano o risiedono per togliere via il fastidio. Seghe elettriche a tutto spiano”.
Le seghe elettriche non solo contro la natura ma incredibilmente contro la radice del benessere di questa terra. Che non patisce, non commisera, avanza e basta. “Oggi piove – dice Antonio – Ma basta uno spicchio di sole e il bar si riempie”. Tutto esaurito d’estate, affitti dal costo stellare, e compravendite che garantiscono ancora un valore di diecimila euro a metro quadrato. Ma la Versilia senza pini cosa sarebbe? Più o forse meno della riviera romagnola, che ha una sua propulsione autoctona, una caratura mercantile inaffondabile.
Versilia, il decalogo del miliardario dell’Est
E senza i pini, per dire, sarebbero venuti i russi, i più ricchi tra i ricchi? Sarebbe potuto accadere che Abramovich, lui proprio, il turbo-magnate moscovita con residenza londinese, avesse dovuto accettare il doloroso rifiuto di un tavolo (tutto sold out, esimio magnate) al ristorante?
No, non sarebbero venuti. Ma ora sono qui, e ogni anno che passa il numero dei questi nuovi intoccabili va aumentando. Purtroppo è una ricchezza giovane, che questi signori degli Urali declinano nella forma primitiva di una cafonaggine inconfondibile e irrimediabile. Sono così felici di darla a vedere, ma così tanto…
All’hotel Byron, abituato a una clientela selezionata e assai abbiente, incline – per farvi fare un’idea – a lasciare mille euro per un pernottamento con cena, la supersmodatezza russa ha iniziato a rendere l’accoglienza più problematica. Salvatore Madonna, amministratore delegato del Soft Living Places, gruppo alberghiero che dispone del meglio per chi chiede di più, ha stilato un memorandum per la continenza dei signori cafoni. “Sono solo suggerimenti che ci permettiamo di avanzare ai nostri gentili ospiti”. Suggerimento numero uno: “È bene per esempio, scegliere il vino non dalla lettura del suo costo, ma dall’abbinamento possibile, dalla felice scelta di un gusto adeguato al piatto. E non è indispensabile far partecipe anche i commensali della scelta del vino da 2.000 euro a bottiglia per ottenere la gratificazione a cena”.
E, aggiungiamo, non sempre comunicare ad alta voce, in modo che i commensali sappiano di quale ricchezza il tavolo russo può disporre. Altro esempio: “Siamo felici che i camerieri ottengano riscontri al loro impegno in sala. Ma mance spropositate, 500 euro o giù di lì, non devono essere considerate un atto obbligato”. Ricchissimi, cafonissimi e sempre con i musi lunghi: “Ecco, sorridere agli altri ospiti sarebbe un atto che spesso aiuterebbe a sollevare l’altrui imbarazzo, ad aprire il varco per una conoscenza, a stabilire dei rapporti di cordialità e buon vicinato. Vivere in un albergo per un giorno, due o dieci, significa anche accettare un clima, riconoscere la diversità, comprendere che l’eccesso esibito può provocare malumori”. L’amministratore delegato teme che di fronte a una misura così eccessiva di pacchianeria, i clienti parigini e londinesi, più disposti a una relativa sobrietà, cambino destinazione e hotel. “Mi sono trovato un giorno a spiegare a un signore kazako che non era indispensabile obbligare la propria fidanzata a cambiare costume ogni volta che si bagnava e per di più farlo en plein air. Ci sono gli spogliatoi, esigenze di riservatezza, sensibilità diverse da rispettare.
E consigliamo anche, nel nostro piccolo decalogo, alle signore russe che si può andare a mare senza impegnare un abbigliamento troppo pretenzioso. Il vestito da sera è appunto per la serata. A mare anche il pareo ci può stare”.
Montecatini Terme paradiso dei pensionati
Ci sono russi e russi. Ma soprattutto ci sono le russe. Che in una decina d’anni hanno conquistato il cuore di portafogli in pensione, gente agiata ma annoiata. Bastano venti minuti per raggiungere Montecatini e il circuito, oramai certificato, di amori nati al tavolo della lap dance dei club che completano la ricreazione termale, oppure lungo le strade del corso o, meglio, nel rettangolo salutistico delle acque. Giovanotte di Mosca, o moldave, ucraine, lituane, hanno scelto Montecatini come trampolino di lancio, piattaforma per costruire una famiglia e possibilmente un conto in banca. In piazza alcune badanti rumene, di mezza età, illustrano la situazione: “Le russe sono giovani, fanno un altro lavoro: si sposano”. Montecatini è l’evoluzione della famiglia interetnica, è il luogo dove i cuori si incontrano malgrado le lingue si confondano e l’età non conta. Amori a prima e anche a seconda vista. Mariti in età di nonni e mogli in quella di nipoti.
Montecatini, secondo una pubblicistica abbastanza ampia e consolidata, è divenuto l’epicentro della lussuria, del piacere di far brillare gli occhi anche al costo di sfasciare una famiglia. È la sede del tumulto della carne, è la fede nelle tette e la speranza che alla fine la vita, una sola, duri, come diceva Totò, soltanto una mezz’oretta. Meglio arraffarla.
Anche stasera segnali che qui si viene per soggiornarvi a lungo e possibilmente con qualche comfort, sono diversi e visibili. Le badanti rumene sanno che per loro non c’è trippa. Invece queste tre ragazze di Kiev progettano il futuro all’apericena: “Siamo modelle, adoriamo Montecatini”. Non un pensiero alla guerra in Ucraina ma tanti smiles sui telefonini sempre connessi, compagni di viaggio e di lavoro.
La questione si è fatta grossa e ha raggiunto persino l’aula del Tribunale di Pistoia quando Pippo Baudo, in collegamento Rai dalle terme per un programma che illustrava le caratteristiche dei campanili d’Italia – confermava che la città è veramente in mano alle russe tanto che persino il sindaco aveva scelto una compagna dell’est. Il sindaco, oggi ex, Ettore Severi si è sentito diffamato da quelle parole – giacché la sua vicenda e il suo legame non dovevano essere neanche distrattamente ricondotti al tratto comune di una compravendita o, al meglio, di uno scambio gioventù-ricchezza, querelando il presentatore.