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 2015  aprile 28 Martedì calendario

Bossetti a processo. Prima udienza il 3 luglio in Corte d’Assise. Il gup respinge la richiesta di incidente probatorio sul Dna. Nessuna dichiarazione da parte del muratore nell’aula blindata

Il rinvio a giudizio era praticamente scontato, se lo aspettava anche lui. Dunque le notizie – in attesa che si torni in aula il 3 luglio – diventano altre. La prima: Massimo Bossetti non ha parlato. Nessuna dichiarazione spontanea, come invece era stato ventilato alla vigilia. Forse perché l’imputato non aveva niente di nuovo da dire (o da aggiungere rispetto al «sono innocente» pronunziato il 10 marzo davanti ai giudici del Riesame di Brescia). Forse perché l’udienza preliminare – come fa notare sibillino uno dei suoi due avvocati – «è filata via senza che al giudice venisse in mente di chiedergli se voleva parlare». Seconda notizia: le eccezioni sollevate dalla difesa. Tre. Una in particolare – la richiesta di incidente probatorio sul Dna e una lunga serie di accertamenti biologici – è stata messa sul tavolo strategicamente con l’obbiettivo di far scadere il termine della custodia cautelare in carcere (16 giugno). Ma sia questa che le altre due eccezioni sono state respinte con perdite.
Comincia in salita, dall’aula di un tribunale blindato per tenere lontani fotografi e cronisti, la partita giudiziaria del presunto killer di Yara Gambirasio. Il 3 luglio – così ha deciso il gup Ciro Iacomino al termine dell’udienza preliminare: quattro ore, più 45 minuti di camera di consiglio – Bossetti tornerà in aula e, davanti ai giudici della Corte d’Assise, inizierà la sua lunga e difficile battaglia: difendersi dall’accusa di avere ucciso Yara e di avere sviato i sospetti degli inquirenti sul collega Massimo Maggioni (costituitosi parte civile nel procedimento per calunnia). Il carpentiere di Mapello è arrivato al tribunale di Bergamo a bordo di un furgone della polizia penitenziaria. La scelta dell’ingresso laterale è stata presa per evitare l’assalto delle troupe televisive (dopo le polemiche seguite alla messa in onda a Quarto Grado del video integrale dell’arresto). In aula, oltre all’imputato, erano presenti il gup, il pm Letizia Ruggeri, gli avvocati della difesa (Claudio Salvagni e Paolo Camporini) e della parte civile (i familiari di Yara, rappresentati da Andrea Pezzotta e Enrico Pelillo). Chi si aspettava di ascoltare Bossetti è rimasto deluso. Neanche una parola. Per lui ha parlato, al termine dell’udienza, l’avvocato Salvagni: «Massimo non è rimasto sorpreso del risultato di oggi, l’avevamo preparato a un esito di questo tipo. Comunque non ci arrendiamo, dimostreremo le nostre ragioni nel corso del processo» (che si svolgerà secondo il rito ordinario). La pena prevista per il reato di cui è accusato il muratore (omicidio volontario aggravato da sevizie e crudeltà) è l’ergastolo. La Procura di Bergamo ritiene «granitico» il castello giudiziario costruito in quattro anni e mezzo di indagini: in particolare in questi 10 mesi seguiti all’arresto – il 16 giugno 2014 – di ex Ignoto 1. Un castello che ha come architrave, o prova regina, il Dna trovato sugli indumenti di Yara, attribuito «indubitabilmente» a Bossetti. In più ci sono altri due elementi fortemente indiziari: le immagini del furgone del presunto killer catturate dalle telecamere per un’ora intorno alla palestra di Brembate (fino a pochi minuti prima della scomparsa della vittima), e le tracce di tessuto dei sedili dello stesso furgone (rinvenute sui leggins e sulla felpa di Yara). «Siamo convinti che le indagini siano state condotte a senso unico, smonteremo tutte le accuse», incalzano Salvagni e Camporini. A partire, ripetono, dal Dna. Secondo la difesa sugli slip di Yara c’è almeno un’altra traccia biologica definita «non interpretabile». Una traccia trovata dai Ris e che gli inquirenti avrebbero però ignorato.