Il Messaggero, 28 aprile 2015
Gai Mattiolo è libero. Dopo l’arresto, la gogna mediatica e un estenuante processo durato sette anni, lo stilista, a giudizio con l’accusa di bancarotta, è stato assolto «perché il fatto non sussiste», il tribunale, inoltre, ha stabilito la restituzione di tutti i beni a lui sequestrati
Ha affrontato l’umiliazione dell’arresto, la gogna mediatica e l’estenuante attesa di un processo durato sette anni. Ma per lo stilista Gai Mattiolo, finito a giudizio con l’accusa di bancarotta insieme ad altre sette persone, dopo la pesante richiesta di condanna (quattro anni e quattro mesi) avanzata dalla procura nei suoi confronti, è arrivata l’assoluzione da tutte le accuse.
Una sentenza sorprendente soprattutto in termini di rapidità. Se il procedimento contro il creatore di moda romano si è protratto per oltre sette anni, al tribunale di Roma è stata sufficiente una breve camera di consiglio: appena una trentina di minuti. E la formula è stata quella piena, gli imputati sono stati assolti «perché il fatto non sussiste» e, per un solo capo di imputazione, è stata la sopraggiunta prescrizione a chiudere la vicenda.
Il Tribunale ha affrancato da ogni accusa anche l’amministratore della società Franco Sciunnacche, i consiglieri Christian Goeccking e Alain Jordy, la sorella dello stilista, Giada Mattiolo, Attilio Vaccari e Alessandro Nicolais, chiamati a rispondere, a seconda delle posizioni, di bancarotta preferenziale, appropriazione indebita e altri reati finanziari. Stesso esito anche per l’avvocato Giancarlo Tabegna, per il quale il pm aveva chiesto una pena di quattro anni e otto mesi di reclusione. È stato il primo a commentare la conclusione della vicenda giudiziaria con un liberatorio: «E adesso scrivetelo! Scrivetelo!». Lo stesso tribunale, inoltre, ha stabilito la restituzione di tutti i beni sequestrati a Mattiolo.
LA CARRIERA INTERROTTA
Una carriera fulminante e un tragico inciampo negli ingranaggi della giustizia. Può essere descritta così la vicenda umana e giudiziaria di Gai Mattiolo. L’ex enfant prodige della moda italiana, capace di mettersi in gioco a soli 19 anni e di vestire, con quattro abiti liturgici, Papa Giovanni Paolo II, ancora prima di compierne 40, incappa in quello che oggi sembra essersi rivelato un abbaglio degli inquirenti. Secondo la procura, lo stilista, finito agli arresti domiciliari il 5 dicembre del 2008, attraverso un complesso sistema di compensazione tra crediti commerciali e debiti, aveva distratto 1 milione e 549 mila euro dalle casse di alcune società satellite già in fallimento a favore della GaiMattiolo Holding. Operazione che il disegnatore di moda avrebbe portato a termine grazie alla collaborazione di Tabegna e Sciunnacche. Gli stessi imputati, inoltre, erano anche accusati di bancarotta distrattiva in merito al contratto di licenza per lo sfruttamento commerciale dei marchi “Gai Mattiolo”, in Italia e all’estero. «Adesso, come stabilito dal tribunale, dovrà essere restituito tutto quanto era stato sequestrato – ha dichiarato l’avvocato Domenico Leto, legale di Mattiolo – questa decisione restituisce un po’ di giustizia al mio assistito».
L’ODISSEA GIUDIZIARIA
L’odissea giudiziaria di Mattiolo potrebbe non essere ancora definitivamente conclusa. Sette anni di giudizio, con annesso sequestro di beni, e immaginabili ripercussioni sulla sua vita personale e professionale rischiano infatti di protrarsi in un possibile secondo grado di giudizio. Per il momento però la storia dell’imprenditore romano torna a essere semplicemente quella di uno dei più noti stilisti italiani.